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Estimità/intimità

Tra pulsioni e passioni dell'essere

Relazione al Colloquio "L'interiorità", 25 e 26 maggio 2007, Santarcangelo, (in corso di stampa)

1. Da almeno un secolo la nozione di 'interiorità' non appare più ovvia. Se mai lo è stata. Chi la ritiene ovvia e universale potrebbe richiamarsi a quella comprensione media, che un'analisi rigorosa è comunque obbligata a presupporre: e a ritrovare, perché i vincoli della vita quotidiana, e alcune restrizioni imposte dalla socialità, sembrano sbarrare la via a ogni tentativo di rendere fluidi e incerti i confini tra il dentro e il fuori, tra la psiche e il mondo. Esistono dispositivi etici e giuridici, fortemente radicati nella nostra quotidianità e in una certa misura inaggirabili, che tendono a chiudere ogni soggetto nella sua individualità, e a considerare ogni individualità come un centro dotato di autonomia, una fonte di iniziative accertabili. Questo nucleo di vita responsabile non potrà dunque venir considerato come equivalente a una monade spirituale?

Unicità e certezza dei confini, compattezza e durata. In uno dei puzzles sull'identità discussi da Locke si immagina che l'anima di un principe venga integralmente trasferita in quella di un ciabattino:1 l'aspetto forse più rilevante, in questo esperimento mentale, consiste nell'idea di trasferibilità; l'identità spirituale di un individuo appare - al di là delle possibili conseguenze - come chirurgicamente asportabile. L'interiorità sarebbe dunque una 'cosa' talmente autonoma all'interno di un soggetto da poter essere, in linea di principio, trasferita da un corpo in un altro corpo oppure in una macchina. Per contro, si potrebbe sostenere che la nozione di 'interiorità' non risulta plausibile quando i confini dell'anima - o semplicemente della psiche, non più intesa come sostanza ma solo come fascio di percezioni, come serie di stati mentali - diventano incerti.

La dissoluzione dei confini può essere spiegata e descritta da punti di vista assai diversi. Si può pensare a un intreccio con il corpo, tale da rendere necessario un nuovo lessico per designare correttamente (scientificamente) i suoi movimenti, le sue attività; in questo caso l'individuo mantiene la sua individualità compatta, ma svanisce quello che Ryle ha chiamato "lo spettro nella macchina", la soggettività spirituale che abiterebbe cartesianamente la fisicità corporea.2 Oppure si può pensare all'identità del soggetto da un punto di vista relazionale: è la proposta della psicoanalisi. L'identità consiste nelle identificazioni, e l'identificazione è relazione all'altro (vedremo più avanti di introdurre ulteriori distinzioni). Ma una soggettività definita dai rapporti con l'alterità è ancora pensabile come un 'mondo interiore'? Potremmo decidere di mantenere il termine interiorità per indicare la zona, alienata sin dall'origine, rispetto alla quale il soggetto detiene il diritto di dire "Io". La psicoanalisi ha confermato l'intuizione nietzscheana, per cui l'Io è una superstizione grammaticale;3 nondimeno, questa superstizione - questa roccia friabile, illusoria - è il fondamento della nostra esistenza, e della possibilità di renderla consapevole. Resta da vedere se questa linea difensiva sia accettabile.

Chi la assume tenta di minimizzare le novità introdotte da Nietzsche e da Freud, novità che non sono riducibili a una ferita narcisistica, a una detronizzazione dell'autonomia soggettiva. Non si tratta semplicemente di sapere che l'Io non è padrone a casa propria. Il dominio esercitato da forze non suscettibili di venir portate a trasparenza era già stato asserito, ad esempio da Schopenhauer. La grande novità, che si fa strada soprattutto nella psicoanalisi, è la concezione del soggetto diviso: e non soltanto in zone, ma in modi. Modi d'essere, e modi di pensare. La concezione modale del soggetto diviso è già presente in Freud, ma viene accentuata e resa esplicita da Lacan: i tre registri dell'esperienza - l'immaginario, il simbolico, il reale - esistono in un intreccio conflittuale. Chi è ancora affezionato all'idea dei sistemi psichici come 'contenitori di rappresentazioni' si sentirà disorientato osservando lo schema mediante cui Lacan offre un'immagine della soggettività divisa. Nello schema L - che sarà commentato tra un istante, in una versione più elaborata di quella proposta da Lacan, e tuttavia coerente, credo, con la teoria lacaniana - vediamo quasi soltanto relazioni.4

Il soggetto si costituisce mediante processi di identificazione sull'asse immaginario (il rapporto tra a e a'; si noti che l'Io è una relazione, più che una zona o un recipiente), e processi di identificazione sull'asse simbolico. Il 'luogo' del simbolico è indicato da una A maiuscola, al fine di distinguere le identificazioni con il simile (narcisismo e rivalità) dalle identificazioni impersonali con una dimensione che è quella del linguaggio e delle regole. Sarebbe tuttavia riduttivo definire il Grande Altro come un'istanza essenzialmente normativa, la Legge o più semplicemente l'Edipo. La mia lettura di Lacan nasce dal rifiuto di questa concezione, che chiamerei 'scolastica'. "Il sistema simbolico è formidabilmente intricato", dice Lacan nel Seminario I:5 perciò dobbiamo pensarlo come una pluralità di versioni, una mescolanza conflittuale. Non soltanto il soggetto, ma anche il Simbolico è diviso.

 

2. Una divisione - nell'accezione qui indicata - non è una separazione o una ripartizione. Non è il principio di una distribuzione quieta, tassonomica. Le divisioni del soggetto diviso, e del Simbolico diviso, funzionano in uno spazio congiuntivo: e poiché il loro spazio è lo stesso (il che non vuol dire che sia il medesimo), ogni registro tende a espandersi sovrastando e includendo gli altri; ciò accade anche per i regimi che dividono il Simbolico. Ripropongo qui il mio programma di ricerca sulla semantica divisa: i regimi (separativo, distintivo, confusivo) sono modi del significato, e presuppongono tipi diversi di articolazioni. 6

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Dunque, nella mia interpretazione dello schema L, il luogo dell'Altro comprende tre regimi di senso (che sono anche stili di razionalità). Il separativo è uno stile univocizzante, che cerca nella rigidità la certezza del buon funzionamento; il distintivo è lo stile della flessibilità, della razionalità strategica; ma per quale motivo incontriamo anche il confusivo nel luogo del Grande Altro? Le relazioni confusive non sono forse quelle che caratterizzano l'asse immaginario? Simmetria, reversibilità, giochi speculari: senza dubbio l'Immaginario è tutto questo, mentre il Simbolico si presenta anzitutto come Terzo che si oppone alle confusioni duali. Abbiamo detto però i registri e i regimi esistono in un intreccio, che è anche conflitto e volontà di distinzione; perciò dobbiamo continuare a distinguere.

Nella sua modalità più semplice, il confusivo agisce e si esprime come interferenza: si introduce negli altri regimi e li piega alle proprie attitudini, alla propria logica. Ma è legittimo attribuire una logica al confusivo? Le operazioni mentali e verbali che generano le formazioni oniriche, e quelle deliranti, possono venir riferite a una qualche forma di razionalità? Alcuni studiosi ritengono di sì; parlano di una logica altra, che sarebbe pur sempre un tipo di logica. Non è questo che ci ha mostrato Freud? L'inconscio non sarebbe assenza di logica, ma un'altra logica.

Si pensi, ancora, alla tesi che Lacan ha introdotto sin dagli anni Cinquanta: l'inconscio è strutturato come un linguaggio, dunque ha un funzionamento logico. Quale? Se il modo di funzionare, se il modo di pensare dell'inconscio consistesse soltanto nelle interferenze che esso produce, negli errori grazie a cui esso s'introduce nella legalità del Simbolico, non saremmo autorizzati a parlare di un'altra logica. Dovremmo ammettere che esiste una sola logica: chi ne rispetta le regole ragiona bene, chi non le rispetta sbaglia o delira. Il confusivo non sarebbe allora una razionalità autonoma, ma soltanto la manifestazione degradata degli altri regimi, i soli che costituiscono la razionalità. In termini ancora più espliciti: soltanto un confusivo superiore, che non si limitasse a essere la fonte di errori e di confusioni banali, potrebbe rivendicare la propria autonomia.

Non tutti gli studiosi propensi a riconoscere il carattere logico del confusivo, e delle sue formazioni, sembrano però consapevoli di questo problema. Lo dimostra il tipo di esempi con cui credono di poter illustrare il funzionamento di una logica altra. Consideriamone alcuni: a) "tutti gli individui sono veloci; tutti cervi sono veloci; tutti gli indiani sono cervi";7 b) "Maria era vergine; io sono vergine; io sono la vergine Maria";8 "la paziente che affermava che uomo era molto ricco, quando le fu chiesto il perché di tale affermazione rispose: 'E' molto alto'. Si noti che entrambi erano sottoinsiemi dell'insieme più ampio di coloro che hanno qualcosa in altro grado. La simmetrizzazione conduce a : molto alto = molto ricco"9. E' con esempi banali e sciocchi di questo genere, che alcuni studiosi - senza accorgersi di cadere nel ridicolo - credono di poter affermare l'autonomia di un'altra logica.10

Il contributo dell'inconscio all'opera d'arte non può consistere in metafore infantili, sineddochi avventate, e sillogismi stupidi. Dunque, i casi sono due: o l'inconscio non fornisce alcun contributo all'attività artistica, oppure, nel caso di un'opera riuscita, bisogna supporre che esso agisca confusivamente nella sua modalità superiore. Ma come descriverla? Come renderla comprensibile?

 

3. E' forse opportuno, prima di proseguire, tornare rapidamente al punto di partenza e giustificare la pertinenza di questa riflessione. La nozione di 'interiorità', ho detto all'inizio, non è universale se non in un'accezione estremamente generica; meglio pensare all'interiorità come a un dispositivo culturale di origine greco-cristiana, e della cui storicità il mondo moderno appare sempre più consapevole. Ho cercato di indicare alcuni tratti che caratterizzano tale dispositivo: la trasferibilità (virtuale), la certezza dei confini, il non essere intaccati dall'altro. A partire da una certa epoca, però, l'identità è stata definita proprio dal rapporto con l'alterità - corporea, sociale, psichica (l'inconscio). Non soltanto l'Io è un altro (Rimbaud), ma il soggetto non coincide con l'Io (Freud). Tutta la cultura più avanzata del Novecento guarda in questa direzione.11 Qui ho deciso di privilegiare la concezione relazionale del soggetto, e la prospettiva della psicoanalisi.

Il soggetto diviso della psicoanalisi non è un soggetto ripartito: questa è ancora la concezione platonica, l'anima divisa in varie parti all'interno dei suoi confini. Ed è la concezione 'cosalizzata', non-modale, della psiche che molti lettori continuano a ritenere valida e ad attribuire a Freud: la psiche ripartita in Es, Io, Super-io. Si noti che questa non è ancora una visione relazionale, e la diventa solo quando l'io e il Super-io (o Ideale dell'Io) vengono pensati come il risultato di identificazioni. Soltanto con la Psicologia delle masse e l'analisi dell'io, nel 1921, Freud enuncia in forma sufficientemente sviluppata e sistematica una teoria relazionale dell'identità.

Secondo questa prospettiva l'identità del soggetto non coincide con una interiorità 'originaria', con un'intimità opacizzata dai rapporti col mondo, ma alla quale si può sempre e si dovrebbe tornare. Non c'è più, a rigore, un mondo interno poiché i confini tra interno ed esterno passano sempre 'dentro'. Si tratta allora di imparare a distinguere i tipi e le forme di alterità da cui siamo costituiti, perché solo la conoscenza dell'alterità aprirà una via per trovare se stessi. Conoscenza che può esprimersi, ad esempio, in quell'appropriazione mimetica e distanziante che è - o può essere - il pastiche. Proust ha deciso di imitare consapevolmente lo stile di altri scrittori (Balzac, ecc.) per evitare di riprodurli inconsapevolmente, involontariamente.12

Dunque: ciò che chiamiamo interiorità è sempre un mondo derivato, l'esito di un'espropriazione originaria. Nondimeno, l'esercizio proustiano del pastiche ci invita a non trarre dal rapporto con l'alterità quella che sembra la conseguenza più ovvia. Che cosa rende implausibile, e improponibile, il determinismo tradizionale? Ancora una volta, la concezione del soggetto diviso. Siamo parlati dal linguaggio: è una tesi enunciata tante volte, nell'epoca strutturalista. Che cosa ci può distogliere dall'ovvietà del determinismo tradizionale, se non la concezione del linguaggio diviso? Tutto è diviso, per la psicoanalisi e a partire da essa - nel senso che è stato precisato per il termine divisione: una scissione congiuntiva.

L'eventuale onnipotenza dell'alterità viene smentita dalle sue divisioni, dalla pluralità dei suoi modi. Se l'altro si dicesse in un modo solo, non esisterebbe luogo sulla terra in cui poter sfuggire al suo sguardo.13 Ma l'alterità 'panottica' è originariamente lacerata e frantumata da una polisemia che è polemos, guerra civile, e non soltanto molteplicità. Finora mi sono soffermato su due significati dell'alterità, quello della relazione tra a e a', l'amore e l'odio per il simile, e quello della relazione tra a (cioè l'Io) e il Grande Altro: l'immaginario e il simbolico. Non è stato considerato il terzo registro, il Reale. Questo differimento potrebbe venir giustificato facendo notare che nello schema L, anche nella versione più articolata, il terzo registro non compare. Ebbene, se è vero che i registri sono sempre intrecciati, dovremmo provare a renderlo visibile.

In Lacan troviamo gli stimoli, e anche tutte le indicazione necessarie, per questo tentativo. Dobbiamo però distinguere almeno due versioni del Reale - in base alla mia prospettiva, e la ritengo corretta anche filologicamente, ogni registro può venir pensato adeguatamente soltanto nella pluralità delle sue versioni. Nella versione che caratterizza la prima fase del pensiero di Lacan, il reale è ciò che si sottrae alla messa-in-forma linguistica: e se la realtà è il mondo in quanto catturato nelle reti del Simbolico, il reale è la realtà meno il Simbolico. Oltre a questa accezione 'tantalica', il reale come 'sottrazione', in Lacan ne troviamo un'altra: il reale come implicato nel Simbolico, incluso in esso sia pure, paradossalmente, come un'irriducibile estraneità. Questa esteriorità interna, intima, viene indicata nel Seminario VII con il termine extimité - una parola 'congiuntiva', potremmo dire, che fonde l'esteriorità e l'intimità.14

Freud aveva parlato di un "territorio straniero interno"15 per indicare la regione dell'Es, l'energia mai interamente governabile delle pulsioni. Lacan parla di una extimité più interiore di qualunque interiorità: nella sostituzione del prefisso in-, a cui subentra un prefisso del 'fuori', possiamo trovare un'ultima conferma per quanto riguarda la non ovvietà, il carattere problematico di tutto ciò che siamo abituati a chiamare interiorità, mondo interiore, sfera interiore.

 

5. Dunque il Reale non è soltanto ciò che eccede il Simbolico secondo una modalità 'sottrattiva', ma ciò che lo eccede internamente. E ciò vale anche per l'Immaginario, nella misura in cui l'Immaginario è pur sempre un registro della forma; perciò si può dire che, "in rapporto al reale, l'immaginario e il simbolico sono dalla stessa parte".16

In quanto si sottrae a ogni regime linguistico, verbale e iconico, il reale può venir designato come l'irrappresentabile, la Cosa, das Ding. Dove collocare la sua eccedenza, come segnalare la sua estimità? Se lo schema L, che appartiene alla fase centrale della ricerca di Lacan, non lo indica in maniera esplicita, dobbiamo pensare che sia davvero assente? Lo è come il vuoto che circonda questa costruzione. E' presente ovunque non si dia linguaggio, nominazione, forma.

A partire dal Seminario VII il vuoto sembra penetrare nelle reti del Simbolico con una forza sconosciuta. E se prima si manifestava in tutte le fenditure del linguaggio - "il regno delle articolazioni", secondo Saussure: ma può esistere un'articolazione non suggerita e accompagnata dal vuoto? -, ora agisce e si manifesta anche come la potenza dell'inarticolato. Dove iscrivere ciò che non si lascia scrivere? Nel luogo dell'Altro, nella A già barrata da una fenditura che indica la scissione dei regimi, e l'impossibilità del metalinguaggio,17 e che ora possiamo ripresentare con una formulazione certo insoddisfacente, come lo è ogni visualizzazione spaziale dei concetti, ma forse non inutile se si vuole esplorare ancora il problema: A barrato = A (das Ding).

E' das Ding il motore delle scissioni interne al Simbolico? E' l'impossibilità di afferrare e circoscrivere la Cosa che spinge il soggetto a differenziare i modi dell'impossibile cattura, e le tecniche per circoscrivere la Cosa? A questo insieme di tecniche (in un'accezione ampia, qui non precisabile) non appartiene forse l'arte? In ogni caso, la definizione lacaniana dell'arte come "organizzazione del vuoto" dovrebbe apparire ormai comprensibile. In base alla nuova articolazione del Simbolico in regimi, che sono stili o famiglie di stili, e in riferimento alla conflittualità del più variamente conflittuale tra i registri, propongo questa definizione: l'arte è la forma più eminente del linguaggio diviso. Penso alla forma nel senso di 'organizzazione', 'modalità', 'modo'.

 

5. Come un vortice di rabbiosa incandescenza il Reale è andato a collocarsi nel Simbolico: poco importa se abbia raggiunto e assorbito la zona centrale, il cuore, o se eserciti la sua azione di sfacelo da periferie interminabili, dilaganti. L'immanenza del reale nel simbolico - non è questo che asserisce Lacan ? - ci ha suggerito un'ulteriore formulazione dello schema L; tuttavia, questa riscrittura può suscitare dei dubbi.

Se il reale non è tanto la dimensione noumenica della realtà, se il reale è del soggetto più ancora che dell'oggetto, perché non indicarlo nel vertice contrassegnato dalla lettera S? Non è forse lì che troviamo quanto di più inaugurale vi è nel soggetto? Quanto di più anteriore all'azione esercitata dal linguaggio, dal significante? Non è quella la sede delle pulsioni?

L'obiezione è tutt'altro che ingiustificata; ma essa svanisce non appena si legge la relazione tra S e A in modo congiuntivo, e non separativo. Il soggetto (S) appartiene al Grande Altro, e il Grande Altro ospita il soggetto come un vuoto o un buco. Ogni soggetto introduce nel Simbolico la propria estimità; da parte sua, il Simbolico offre le risorse per circoscrivere ed elaborare das Ding. Ogni soggetto è, e contemporaneamente non è, l'Altro (o nell'Altro).

E' a causa di questa logica congiuntiva che non si può parlare ingenuamente di un'interiorità in cui il soggetto vive come incapsulato. I confini con l'esterno, lo si è già detto, passano sempre all'interno. E' il paradosso che contraddistingue gli esseri che noi sempre siamo.

Esseri congiuntivi, e scissionali. Soggetti divisi. La dimensione ontologica a cui apparteniamo è accessibile solo mediante una logica delle scissioni e dei legami, il che significa che dobbiamo considerare fallace, in relazione a ciò che sempre siamo, ogni logica di tipo disgiuntivo. Fallace, e slittante verso la bêtise.

Torna spontanea la domanda 'perché?', alla quale si può rispondere solo descrittivamente. Se siamo soggetti divisi, e lo siamo, ciò accade 'perché' o in quanto la nostra identità è decisa dal desiderio. Ecco un'altra formulazione che dobbiamo a Nietzsche e alla psicoanalisi. Alla psicoanalisi dobbiamo riconoscere il merito di aver esplorato sistematicamente una distinzione che esisteva in uno stadio pre-teorico, quella cioè tra desiderio di avere e desiderio di essere.18 A partire da questa distinzione vorrei cercare di sviluppare, e anche di mostrare meglio, la coerenza di tutto il mio discorso.

L'identità è identificazione. L'identificazione è un processo generato dal desiderio di essere. E se l'identificazione è rapporto costitutivo con l'alterità, non è forse nel desiderio di essere che dobbiamo individuare la causa del nostro 'essere sempre altro'? In tre modi fondamentali, lo abbiamo visto: come attrazione per l'immagine ideale, narcisistica, e al tempo stesso come dolore per una coincidenza impossibile (l'immaginario); come introiezione di modelli, e di nuove articolazioni, che danno forma alla nostra identità (e che appartengono al Simbolico); e come desiderio della Cosa, dell'oggetto sempre perduto, desiderio di dissoluzione in un godimento supremo (il Reale).

 

6. Vorrei concentrare adesso la mia attenzione sul desiderio di essere e su alcune della sue modalità più oltrepassanti, anche per offrire un minimo di esemplificazione al discorso sin qui svolto. Il desiderio di essere implica, per definizione, uno sconfinamento: dunque una confusione con l'alterità. Ecco nuovamente il problema del confusivo, non come catalogo di sviste e di errori, non come sciocchezzaio logico, ma come modo d'essere.

Non tutti gli oltrepassamenti sono confusivi, evidentemente: è la mescolanza, sono i rapporti di forze tra i registri e tra i regimi, a decidere la modalità dell'identificazione. Ripartiamo da Freud e dalla Psicologia delle masse. Freud distingue tra identificazioni che riguardano l'Io e identificazioni che riguardano l'Ideale dell'Io, ed esemplifica la differenza tra i due tipi mediante l'innamoramento e l'ipnosi. L'amore implica, oltre al desiderio di avere, il desiderio di essere: quando si ama, ci si identifica in misura più o meno ampia con la persona amata.

L'amore è una passione interna? Nasce nella maniera più spontanea da una sorgente che nulla di esterno può inquinare, almeno originariamente? Questa purezza non è al riparo dal dubbio, dai sospetti o dalla gelosia: di ciò si lamenta Otello, quando descrive la mutazione acquatica che lo sta portando alla follia.19 Se questa sorgente può essere inquinata, ciò accade perché era originariamente pura.

L'amore sarebbe dunque il più autonomo tra i sentimenti. Nello stesso tempo, è la passione che ci può rendere più dipendenti. Come intendere però tale dipendenza? Come il risultato dell'abitudine? Oppure - questa mi pare la risposta della psicoanalisi - come la conseguenza istantanea di un rapporto segnato dall'identificazione? Il desiderio di essere trascina il soggetto fuori di sé sin dal primo istante in cui si manifesta: lo rapisce, lo rovescia - nel caso dell'amore - in un'esteriorità adorabile.

A causa del desiderio di essere il soggetto che noi sempre siamo si trasforma nell'oggetto che noi sempre siamo. Questa condizione 'oggettuale' è la conseguenza di ogni rapporto di identificazione confusiva, ed espone ai rischi più grande: il soggetto può smarrire se stesso, può perdere 'l'altro se stesso'. Si pensi alla condizione tormentosa del melanconico, incatenato al vuoto che egli stesso era. Freud la descrive con questa formula: "l'ombra dell'oggetto è caduta sull'Io".20

Il più intimo dei sentimenti, il sentimento che sembra nascere unicamente nel Sé, e che, per quanto traboccante, sembra trovare nel Sé l'involucro più naturale, il limite che rende più intense le sue espansioni, ha mostrato il suo statuto relazionale: non nel senso di una relazione che un soggetto stabilisce con un oggetto situato all'esterno, ma come una relazione che fa, del soggetto, la stessa cosa dell'oggetto desiderato. Ci si può chiedere, adesso, se questa sia la definizione principale elaborata dalla psicoanalisi. Non esistono forse altre definizioni? E' possibile accertare la loro congruenza, seguendo la linea di ricerca che unisce Freud e Lacan?

Devo procedere molto schematicamente; nondimeno spero di trovare un filo conduttore, che potrà essere ripreso in altra sede. Consideriamo alcuni scritti di Freud, anteriori a Psicologia delle masse e analisi dell'io, e alla tesi secondo cui l'amore è desiderio di essere. Nell'Introduzione al narcisismo, dopo aver affermato che "l'uomo dispone in origine di due oggetti sessuali: sé stesso e la donna che si prende cura di lui",21 Freud distingue due tipi di amore: l'amore narcisistico (tipicamente femminile) e l'amore anaclitico, o per appoggio (più tipicamente maschile). Tuttavia altre considerazioni, nel medesimo scritto, inducono a ridimensionare questa distinzione; la vera tesi di Freud sembra piuttosto l'origine e la natura essenzialmente narcisistica dell'amore.22 In uno dei Contributi alla psicologia della vita amorosa viene descritta una scissione tra due tendenze libiche, normalmente mescolate: la corrente di tenerezza e quella sessuale possono separarsi, e ciò accade con la massima evidenza in quegli uomini che amano senza desiderare, e per contro provano un'intensa attrazione erotica solo nei confronti di donne disprezzate.23 Incontriamo in Freud altre due tesi fondamentali: quella dell'ambivalenza, del legame tra amore e odio, e quella della ripetizione, secondo cui la scelta d'amore nell'adolescenza e nell'età adulta sarebbe l'eco, con molte possibili variazioni, del sentimento edipico. Quest'ultima tesi nega, almeno in una certa misura, il carattere originario e autonomo delle nostre scelte apparentemente più spontanee.

Cercare le congruenze, e indagare la problematicità di queste tesi richiederebbe un lungo lavoro. Qui devo limitarmi a seguire un filo che ci condurrà all'amore come alla più esteriore tra le passioni. Dovremo distinguere però tra una forma media, che giustifica in parte l'illusione dell'interiorità – e del soggetto indiviso -, e le forme estreme in cui il soggetto viene letteralmente strappato da se stesso.

L'obiettivo è una definizione in grado di raccogliere le diverse prospettive sin qui enunciate, e che possa costituire il punto di partenza per successive analisi: insomma, una definizione operativa e non la percezione forse impossibile di un'essenza. Esiste un'essenza dell'amore, o ne esistono solo differenti versioni? In ogni caso, troveremo una definizione in grado di collegarle?

Proviamo a seguire la via apparentemente più complicata, aggiungendo cioè alle tesi freudiane le enunciazioni lacaniane. Tuttavia, come Freud ha detto una volta, l'unica maniera di chiarire un problema complicato può essere quello di prendere un secondo problema. Nel Seminario I l'amore viene presentato come una passione dell'essere, come la giunzione - metaforizzata dallo spigolo di un diedro - tra l'Immaginario e il Simbolico (le altre due passioni dell'essere sono l'odio, giunzione di Immaginario e Reale, e l'ignoranza, giunzione di Reale e di Simbolico).24

La metafora dello spigolo suggerisce la duplicità del rapporto tra i registri, nelle loro combinazioni: uno spigolo unisce, congiunge, ma nello stesso tempo separa virtualmente le facce che s'incontrano e i cui prolungamenti seguirebbero direzioni diverse. La giunzione non è dunque una garanzia di cooperazione o di alleanza: indica probabilmente la condizione 'normale' o media, senza escludere condizioni estreme nelle quali potrebbe manifestarsi la verità del fenomeno.

Perché l'amore è una combinazione di Simbolico e di Immaginario? e a quale delle tesi freudiane potremmo collegare più fruttuosamente la definizione di Lacan? Se l'espressione passione dell'essere rinvia all'amore come 'desiderio di essere', e non come investimento oggettuale, questi due registri potrebbero venir riferiti alla tipologia del 1914: l'amore come passione narcisistica corrisponde al registro dell'Immaginario; l'amore per la persona che nutre e che protegge sembra invece un sentimento che si rivolge a una funzione più che a una persona nella sua unicità. Amore impersonale, amore riferito al Grande Altro, e che troverà nel rito del matrimonio, nella promessa reciproca, la sua formulazione adulta: ci troviamo allora nel campo del Simbolico.

Il Seminario I non procede oltre: non considera la possibilità dell'amore riferito al Reale, e non si sofferma sull'eventuale scissione tra i due registri costitutivi. Ma gli sviluppi successivi della teoria lacaniana autorizzano a pensare una dinamica e una fenomenologia più complesse. Propongo di intendere l'assenza del Reale come un indizio del carattere medio con cui qui l'amore viene presentato. Medio, cioè sotto controllo. Ci si sposa per non bruciare a causa della passione, dice S. Paolo. Ma è davvero impossibile che si verifichi la situazione che il matrimonio dovrebbe scongiurare? Non potrebbe essere proprio il matrimonio a rendere la passione ancora più intensa? E' quanto suggerisce la Sonata a Kreutzer di Tolstoj.

Nell'esergo vengono riportati due passi dal Vangelo di Matteo. Il primo di essi dice: "Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore".25 Questo passo viene menzionato dal protagonista, Pozdnyšev, durante il suo racconto, con un supplemento di interpretazione:

"La passione sessuale, comunque la si dipinga, è un male, un male terribile contro cui bisogna combattere invece di incentivarlo come si fa da noi. Le parole del Vangelo, secondo le quali un uomo che guardi a una donna con concupiscenza ha già commesso peccato insieme a lei, non si riferiscono solo alle mogli altrui, ma precisamente e soprattutto alla propria".26

 

Paradosso dell'adulterio interno: potremmo chiamarlo così. Mediante la legalità (ed eventualmente la sacralità) del rito matrimoniale la Legge cerca di ridurre l'incandescenza della passione, producendo talvolta un effetto boomerang: la passione risorge ancora più forte all'interno dello spazio che doveva attenuarla. Ma come si può commettere peccato contro la legge, restando all'interno di essa? Come si può commettere adulterio con la propria moglie? Il peccato potrà consistere evidentemente solo nel modo. In una modalità del desiderio che allontana il Simbolico, lo rende inefficace, lo annulla, e che, attraversando l'Immaginario, mira al ritrovamento della Cosa, dell'oggetto pulsionale. Nella misura in cui i due registri erano congiunti, in quella giunzione che chiamiamo amore, la distruzione dell'uno implica quella dell'altro. Così la passione regredisce e ridiventa pulsione, Trieb; l'oggetto della pulsione ingoia l'oggetto del desiderio.

Ciò non significa però, se la mia interpretazione è corretta, che il desiderio di essere scompare e lascia il posto al desiderio d'avere, e che all'identificazione subentra l'investimento oggettuale. Il racconto di Tolstoj mette in scena il desiderio di essere das Ding, cioè l'oggetto che noi sempre siamo.

Osserviamone le conseguenze. Quando l'ombra della Cosa cade sull'Io - per riprendere, variandola, la formula di Freud -, l'oggetto d'amore diventa un oggetto tossico: causa di una dipendenza che potrà essere spezzata soltanto con la distruzione di almeno uno degli elementi del rapporto (vedremo in seguito come la scelta di questo elemento possa apparire del tutto opzionale). La dipendenza è la causa più probabile dell'ambivalenza: l'oggetto tossico attrae e respinge, suscita amore e odio. Si noti che l'ambivalenza si esprime senza attenuazione e senza riserve proprio quando viene meno l'azione temperante del Simbolico: la Legge vieta di odiare la medesima persona che si ama, per ragioni anzitutto logiche, cioè in quanto la razionalità della legge è separativa. L'indebolimento del Simbolico, la 'corruzione' esercitata dal Reale, lo svuotamento della legge ad opera della Cosa, fanno sì che i soggetti ubbidiscano a un vincolo di reciprocità che è congiuntivo in un'accezione ancora da precisare (e che non va confuso con altre forme di interdipendenza). Su questa reciprocità si sofferma più di una volta il narratore della Sonata:

"ci eravamo ritrovati l'uno di fronte all'altra nel nostro vero rapporto reciproco, cioè quello tra due egoisti del tutto estranei, desiderosi solo di ricavare l'uno dall'altra le maggiori soddisfazioni possibili" (p. 33)

 

"Mi stupivo del nostro odio reciproco, ma non avrebbe potuto essere diversamente. Quell'odio altro non era che l'odio che i due complici di un delitto provano l'uno verso l'altro" (35)

 

"Eravamo come due carcerati legati alla stessa catena che si odiano e si avvelenano la vita a vicenda" (49)

 

"Allora non comprendevamo che l'amore e l'astio erano lo stesso sentimento animalesco espresso in due modi diversi" (48).

 

Situazione intollerabile, non prolungabile. Egualmente tossica e insopportabile la situazione in cui si trova il protagonista del racconto Il diavolo: "Non si poteva continuare così". Ma come descrivere esattamente questa causalità feroce? Come un’alternanza di amore e odio? Non sembra che la ciclicità possa avere effetti così distruttivi: può generare stanchezza, può logorare irreversibilmente - ma il logorio indebolirebbe il legame; qui invece il legame viene costantemente rafforzato. Qui das Ding consiste esattamente nel legame di reciprocità tra marito e moglie.

Secondo le parole di Pozdnyšev, in certe condizioni, cioè in una determinata modalità del rapporto erotico, amore e odio sono lo stesso sentimento. Lo stesso, non il medesimo. Questa distinzione, enunciata più volte da Heidegger e mai sufficientemente chiarita, non è priva di evidenza immediata né di suggestione. Se amore significa 'amore', l'identità ha la forma di das Gleiche, il medesimo; se amore significa 'amore e odio', se il medesimo contiene e implica il diverso e l'opposto, allora l'identità ha la forma di das Selbe, lo stesso. Ecco di nuovo la logica congiuntiva. Se ora riprendiamo la tesi freudiana secondo cui l'amore è desiderio di essere - una persona, un ruolo, ma anche la non-persona o l'anti-persona, la fluidità e la mobilità della condizione pulsionale -, possiamo inferire dalle parole di Pozdnyšev che i due protagonisti della Sonata sono das Selbe, la stessa persona in modi diversi. Ciascuno dei due è perennemente invaso dall'altro, il che significa che l'essere di ciascuno dei due non è in grado di porre alcuna barriera che lo difenda dal desiderio dell'altro. Perciò l'odio più acuto può trasformarsi nella tentazione del suicidio (p. 75). Riscrivendo il finale del Diavolo, Tolstoj ha probabilmente voluto indicare la casualità, il carattere contingente, della scelta omicida: se è la relazione (di dipendenza) che dev'essere distrutta, è poco importante - e comunque non essenziale - che sia x oppure y a venire ucciso. L'oggetto della pulsione, diceva Freud, è estremamente variabile, il che significa che per scatenare la pulsione non occorre un oggetto individualizzato.

 

7. Un 'analisi di questi due racconti richiederebbe, com'è ovvio, più tempo; non è detto però che un'analisi sia cattiva soltanto perché è parziale. Comunque sia, vorrei aggiungere qualche considerazione: (a) l'amore è una giunzione di Immaginario e di Simbolico, e il patto matrimoniale rafforza tendenzialmente il Simbolico (col rischio, ben noto, di spegnere la passione). Può accadere tuttavia - e questa eventualità è iscritta nel nodo dei registri - che il matrimonio incentivi la passione sino a renderla rovente, incontrollabile. Non so se si possa parlare di un 'pervertimento' del Simbolico, in ogni caso, nella Sonata a Kreutzer il Reale travolge tutte le difese del Simbolico, prende possesso del luogo dell'Altro, e consegna i due protagonisti a una relazione che devasta entrambi; (b) un ruolo decisivo, per quanto riguarda l'intensificarsi della passione, viene affidato alla musica, che è il meno semantico di tutti i linguaggi, dunque il linguaggio più adatto a costeggiare das Ding; (c) non mi sembra che il rivale svolga la funzione prevista dal triangolo mimetico di Girard: non è necessario un rivale, perlomeno non un rivale 'empirico', per far divampare il desiderio del marito e portarlo all'apice. Piuttosto, il rivale gli offre l'occasione per spezzare il legame con la moglie e liberarsi di lei. Le ultime parole della donna ferita a morte, "hai raggiunto il tuo scopo! Ti odio", sembrano confermare questa interpretazione. Dunque il rivale non intensifica l'amore e il desiderio di possesso, bensì l'odio; (d) la soggettività duale formata da marito e moglie, nella loro dipendenza reciproca, lascia qualche spazio all'interiorità? Mi pare difficile sostenere che la psiche di Pozdnyšev sia caratterizzabile come una monade spirituale, definita dalla certezza dei suoi confini.

Ancora una volta: l'interiorità è forse possibile nella condizione media dell'amore, non nelle sue forme estreme. Ne abbiamo indagato soltanto una, ma questo ci permette di proporre una definizione orientata alla pluralità delle forme, delle versioni. Che cosa sarebbe dunque l'amore? L'amore è una miscela modale, fortemente instabile. Non sapremmo definirlo diversamente. Una miscela: dunque, non un sentimento semplice, e neanche un sentimento composto nel senso della teoria cartesiana delle passioni, o di teorie analoghe sul piano epistemologico.27 L'amore non è un fenomeno analizzabile da un punto di vista mereologico. Una miscela modale: infatti non è composto di parti ma dai legami e dai conflitti tra i registri, che sono modi (dell'esperienza, del pensiero, ecc). Miscela fortemente instabile, che tende a precipitare da un lato o dall'altro, a scindersi liberando i suo componenti. Con esiti differenziati: nell'amore come giunzione tra Immaginario e Simbolico, è quest'ultimo ad agire come forza stabilizzante, come 'raffreddamento' di un'intensità che tende a crescere senza limite alcuno, fino alla dissoluzione. Scrive Tolstoj nel suo diario, a proposito di Sofia Bers: "Sono innamorato come non credevo che avrei potuto esserlo. Sono pazzo, mi suiciderò se questo continua. Lei è deliziosa da tutti i punti di vista...".28 L'amore, nella sua essenza pura e 'non commista', è impulso di dissoluzione - conseguenza estrema del desiderio di essere. Perciò l'oggetto erotico esige una velatura da parte del Simbolico.

Abbiamo considerato, nella Sonata a Kreutzer, una delle versioni estreme dell'amore: un uomo si è sposato per bruciare dalla passione, per alimentare sino alla follia il piacere del possesso ("E la cosa spaventosa era che io mi attribuivo un indubitabile e pieno diritto sul suo corpo", p. 76). In questo matrimonio il Simbolico non vela l'oggetto del desiderio, al contrario: lo fa bruciare con una intensità spaventosa, intollerabile. Diventa la via d'accesso al Reale.

Consideriamo adesso un’altra possibilità della miscela instabile: non l'amore tossico, ma l'amore estasi. Anche questa possibilità è pensata da Tolstoj, in pagine meravigliose. Credo di poter indicare almeno due esempi: il primo riguarda il fidanzamento di Levin in Anna Karenina. Bisognerebbe riportare qui tutto il capitolo XV della Parte Quarta; mi limiterò con rammarico a una sintesi. Levin si trova in una condizione estatica, cioè egli sta vivendo

"in modo completamente inconscio e al di fuori delle condizioni materiali dell'esistenza. Non aveva mangiato per una giornata intera, non aveva dormito per due notti, aveva passato varie ore spogliato al gelo, e si sentiva non solo fresco e sano come non mai, ma del tutto indipendente dal proprio corpo: si muoveva senza sforzo dei muscoli e sentiva che avrebbe potuto fare qualunque cosa. Era convinto che, se fosse stato necessario, sarebbe volato in alto, o avrebbe spostato un angolo di quella casa. Trascorse il resto del tempo per le strade, consultando di continuo l'orologio e voltandosi a guardare da tutte le parti.

E quello che vide allora, in seguito non lo vide mai più".29

 

Situazione rovesciata rispetto alla Sonata a Kreutzer: non la fisicità irresistibile, la corporeità assoluta, ma la disincarnazione, spinta iperbolicamente sino alla possibilità della levitazione e al potere di modificare il mondo fisico con la propria volontà. Dimensione irreale, il che non significa ingresso nel Reale! Qui trionfa un altro registro, l'Immaginario. Certamente, anche l'immaginario puro rasenta la follia: "E quel che vide allora, in seguito non lo vide più". Carattere eccezionale di un'esperienza la cui durata è virtualmente senza limite - prima che si torni alla realtà simbolizzata. Il sentimento dell'estasi cancella il contesto spazio-temporale a cui appartengono tanto il soggetto quando gli oggetti della sua percezione; il principium individuationis viene sospeso, e ogni dettaglio - i bambini che vanno a scuola, i colombi turchini ecc - acquista un'intensità allucinatoria.

Un altro dettaglio conferma la sospensione del Simbolico: tutti sanno che Levin sta per recarsi all'abitazione degli Ščerbackij per chiedere la mano di Kitty - ma lo sanno davvero? sì, potremmo rispondere, in virtù di una comunicazione telepatica, o perché l'anima di Levin è del tutto trasparente. Niente può velare la perfezione del suo sentimento. E ora, è il desiderio di essere a venirgli incontro:

"La prima persona che vide fu mademoiselle Linon. Attraversava la sala, e i suoi riccioli e il suo viso splendevano. Si era appena messo a parlare con lei che, a un tratto, dietro una porta si udì il fruscio di un vestito e mademoiselle Linon scomparve agli occhi di Levin e gli si comunicò il gioioso terrore della vicinanza della propria felicità. Mademoiselle Linon si affrettò e, lasciatolo, andò verso un'altra porta. Era appena uscita che dei passi leggeri echeggiarono sul parquet, e la sua felicità, la sua vita, lui stesso, il meglio di lui stesso, quel che lui aveva cercato e desiderato così a lungo, svelto svelto gli si avvicinò. Lei non camminava, ma si recava a lui portata da qualche invisibile forza".30

 

In questo lungo momento d'estasi, l'amore non ha nulla di composito: l'instabilità è precipitata interamente nella fluidità del confusivo. Ne troviamo una conferma indiretta, se mai ne avessimo bisogno, all'inizio del capitolo seguente quando le cose, che avevano perduto i loro nomi, sono costrette nuovamente a indossarli. Il mondo quotidiano viene ristabilito:

"La principessa sedeva in poltrona, silenziosa e sorridente; il principe si sedette accanto a lei. Kitty era in piedi vicino alla poltrona del padre, sempre senza lasciargli la mano. Tutti tacevano.

La principessa per prima chiamò ogni cosa con il suo nome e tradusse tutti i pensieri e i sentimenti nelle questioni della vita. E a tutti in pari modo questo nel primo momento parve strano e doloroso".31

 

Fine dell'estasi. Il secondo esempio è cronologicamente anteriore, e appartiene alla Felicità familiare. Una passeggiata notturna offre l'occasione per un'esperienza irripetibile: "e davvero una notte come quella in seguito non l'ho rivista più".32 Di nuovo la sospensione delle leggi fisiche, della realtà articolata dal Simbolico. Annullamento del separativo, e dei confini entro i quali è chiuso ciascuno dei personaggi: così essi non si muovono nello spazio, ma si spostano magicamente, confusivamente insieme allo spazio; o meglio, spostano lo spazio che essi stessi sono:

"Mentre camminavamo per il viale, guardavo davanti a me e mi sembrava continuamente che non si potesse andare oltre, che proprio in quel punto finisse il mondo della possibilità, che ogni cosa avrebbe dovuto essere per sempre imprigionata in quella sua bellezza. Ma noi proseguivamo, e la magica parete della bellezza si spostava, ci accoglieva e sembrava che pure là continuasse quel parco che ben conoscevamo, con i suoi alberi, le sue stradine, il suo fogliame secco ".33

 

E' come se un quantum di Immaginario puro stesse attraversando la realtà simbolizzata e riconoscibile (gli alberi, le stradine percorse tante volte, ecc). Scissione della miscela modale. La realtà quotidiana è talmente sopraffatta e svalutata da generare dubbi sulla sua identità. Effetto di sdoppiamento: ciascuno appartiene a due registri divisi, contemporaneamente; possibilità di una lacerazione? No, perché la felicità ristabilisce il legame tra i due mondi. Benché rovesciato estaticamente fuori di sé, il soggetto può ancora, con infinita emozione, dire "Io". Mi pare che così si debba interpretare questa pagina stupenda:

"E davvero eravamo noi a camminare tra quelle stradine, calpestando cerchi di luce ed ombra ed erano davvero le foglie secche a frusciare sotto i nostri piedi e un ramoscello fresco a sfiorarmi il viso. Ed era davvero lui a camminare accanto a me con passo regolare e silenzioso, reggendo premurosamente il mio braccio, ed era davvero Katja a camminare accanto a noi con lieve crepitio. E doveva davvero essere la luna a brillare in cielo su di noi tra le fronde immobili ...

Ma ad ogni passo, dietro e davanti a noi, si richiudeva di nuovo la magica parete ed io smettevo di credere che si potesse ancora andare avanti, smettevo di credere a tutto quello che realmente era".34

Note

1 J. Locke, Essay concerning human Understanding, 1690; trad. it. Saggio sull'intelletto umano, Laterza, Bari 1972.

2 G. Ryle, The Concept of Mind, 1949; trad. it. Lo spirito come comportamento, Einaudi, Torino

3 Mi limito a una citazione, tra le molte possibili: “Io ho rappresentazioni”, dunque vi è un essere : cogito, ergo EST. Non è più sicuro che io sia questo essere che ha la rappresentazione, che il rappresentare sia un’attività dell’io. F. Nietzsche, Frammenti postumi, 1881-82, fr. 11 (19).

4 Cfr. J. Lacan, Ecrits, 1966; trad. it. Scritti, Einaudi, Torino 1974, p. 50. 

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5 J. Lacan, Gli scritti tecnici di Freud.Seminario I, 1953-1954; trad. it. Einaudi, Torino 1978, p. 67.

6 Mi permetto di rinviare a Jacques Lacan. Arte linguaggio desiderio, Il Sestante, Bergamo 2002, e al saggio "Introduzione alla logica scissionale (congiuntiva)" in corso di stampa per le edizioni di Storia e Letteratura. Il testo è attualmente disponibile in rete, nel sito www. palea. it. Per una presentazione più divulgativa del pensiero di Lacan rinvio a Che cos'è la teoria della letteratura. Fondamenti e problemi, Einaudi, Torino 2006. La teoria dei regimi di senso nasce dalla mia lettura del seminario sulla "Lettera rubata" (cfr. cap. 4).

7 E. von Domarus, "The Specific Laws of Logic in Schizophrenia", in A.V., Language and Thought in Schizophrenia, a cura di J.S. Kasanin, 1944.

8 S. Arieti, Interpretation of Schizophrenia, 1974 (trad. it. Milano 1978, vol. I, 314.

9 I. Matte Blanco, Thinking, Feeling, and Being. Clinical Reflexions on the Fundamental Antinomy of Human Beings and World, 1988, trad. it. Torino 1995, p. 62

10 Tutti questo esempi sono citati da Remo Bodei, Le logiche del delirio, Laterza, Roma-Bari 2000.

11 Si pensi a ciò che Heidegger afferma a proposito della conoscenza: "Nel dirigersi verso ... e nel comprendere, l'Esserci non va al di là di una sua sfera interiore (Innensphäre), in cui sarebbe dapprima incapsulato (verkapselt); l'Esserci, in virtù del suo modo fondamentale di essere, è già sempre "fuori" (immer schon draussen), presso l'ente che incontra in un mondo già sempre scoperto" (Sein und Zeit, 1927; trad. it. Essere e tempo, Longanesi, Milano 1995, p. 105). E a ciò che scrive Sartre a proposito della fenomenologia: "Husserl ha ridato orrore e incanto alle cose. Ci ha restituito il mondo degli artisti e dei profeti: terrificante, ostile, pericoloso, con oasi di grazia e d'amore ... Eccoci liberati da Proust. Liberati nello stesso tempo dalla “vita interiore” (...) perché finalmente tutto è fuori, tutto ! perfino noi stessi: fuori, nel mondo, tra gli altri. Non in un ipotetico rifugio potremo avere la rivelazione di noi stessi: ma per la strada, nella città, in mezzo alla folla, cosa tra le cose, uomo tra gli uomini" (Un'idea fondamentale della fenomenologia di Husserl: l'intenzionalità, 1939, ora in Situations I). Che Proust sia uno scrittore dell’interiorità è peraltro assai discutibile.

12 M. Proust, Pastiches, trad. it. Marsilio, Padova 1991.

13 Compattezza dello sguardo persecutorio. Cfr. S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi. Nuova serie di lezioni, (1932), per quanto riguarda il delirio di attenzione (o di essere osservati), in Opere, vol. 11, p. 172.

14 J. Lacan, L'etica della psicanalisi. Seminario VII, 1959-1960, trad. it. Einaudi, Torino, p. 177.

15 S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi. Nuova serie di lezioni, 1932, trad. it. in Opere, vol. XI, p. 170.

16 J.-A. Miller, Introduzione al Seminario X, 2004-05; trad. it. Quodlibet, 2006, p. 107.

17 La distinzione tra linguaggio-oggetto e metalinguaggio presuppone una scansione, e forse anche una visione 'livellare' che non è compatibile con l'insieme delle relazioni tra regimi. Il metalinguaggio si può dare soltanto all'interno del regime separativo.

18 Si noti che nella formulazione etica la distinzione essere/avere non ha affatto un carattere relazionale.

19 W. Shakespeare, Othello, IV, 2, vv. 47-62.

20 S. Freud, Lutto e melanconia, 1914; trad. it. in Opere, vol. 8 ,

21 S. Freud, Introduzione al narcisismo, 1914, trad. it. in Opere, cit., vol. 8, p. 458.

22 Cfr. M. Recalcati, Sull’odio, Bruno Mondadori, Milano 2004.

23 S. Freud, Contributi alla psicologia della vita amorosa (primo contributo, 1910), trad. it. in Opere, cit., vol. 6.

24 J. Lacan, Seminario I, cit., pp.

25 Vangelo di Matteo, v. 28. Cito da L. Tolstoj, La sonata a Kreutzer e altri racconti, trad. it. Garzanti, Milano 2006, p. 3. Traduzione di Laura Salmon.

26 Ibid. p. 31.

27 Cfr. R. Descartes, Les passions de l'âme, 1649; trad. it. Le passioni dell’anima, in Opere, vol. II, Laterza, Bari 1967. Mi limito a ricordare che il progetto cartesiano afferma la possibilità di pervenire a un elenco di passioni semplici, rispetto a cui tutte le altre passioni sarebbero combinazioni o variazioni. Eccellente esempio di stile separativo.

28 Tolstoj, Diario, 12 settembre 1862

29 L. Tolstoj, Anna Karenina, trad. it. Garzanti, Milano 1965, p. 409. La traduzione è di Pietro Zveteremich.

30 Ivi, p. 410.

31 Ivi, p. 412.

32 L. Tolstoj, La felicità familiare, Garzanti, Milano 2001, p. 27. Traduzione di Laura Salmon.

33 Ivi, p. 28.

34 Ibidem.