Riflessioni sull'università
Torino, 5 ottobre 2010
Alcuni mesi fa ho sentito l’esigenza di dare una forma organica alle mie riflessioni sullo studio della letteratura all’Università, e sulle possibilità di formazione che una Facoltà di Lettere e Filosofia sarebbe in grado di offrire se venisse rinnovata, così da essere all’altezza del nostro tempo.
Inizialmente il mio testo ha avuto una circolazione privata. Le reazioni, generalmente positive, che ha suscitato mi hanno convinto a renderlo pubblico. Chi è interessato a esprimere una propria valutazione, il proprio sostegno o le proprie critiche, può scrivere all’indirizzo del sito.
Ringrazio in anticipo chiunque vorrà contribuire alla diffusione e alla discussione di questo documento di lavoro, e delle proposte che esso contiene.
La situazione degli studi letterari nelle Facoltà di Lettere e Filosofia
Proposte per un rinnovamento
1. I destinatari.
Queste riflessioni si rivolgono anzitutto a chi insegna nelle attuali Facoltà di Lettere e Filosofia, ai Colleghi e ai Presidi; ma i suoi destinatari sono anche gli studenti, e l’istituzione nel suo complesso, fino ai gradi più alti.
E’ un tentativo di sensibilizzazione: vorrei favorire una riflessione e un dibattito sugli studi letterari, indicando le cause di un ritardo e di un degrado che vanno contrastasti, il più rapidamente possibile, prima che diventino incontrastabili e irreversibili.
In una fase in cui il dibattito sull’Università è orientato soltanto su aspetti quantitativi, io propongo di discutere sulla qualità. Dobbiamo ricominciare a discutere sulla qualità degli studi e della formazione, senza lasciarci inibire dalla difficile situazione economica e dai tagli all’Università. Non che questi problemi siano trascurabili, evidentemente; ma non dovrebbero monopolizzare la nostra attenzione. La necessità di un rinnovamento è sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo tornare a progettare il futuro.
2. Per una Facoltà delle competenze (e non dei contenuti, tradizionali e aggiornati).
Obiettivo principale: la qualità. Ma chi può riconoscerla? Chi può indicare la strada da seguire?
I più competenti, cioè coloro che insegnano nelle Facoltà umanistiche, senza ignorare possibili contributi da parte degli studenti più sensibili e più maturi.
Quali sono gli ostacoli, dal punto di vista mentale ? Ne indicherei almeno due:
- l’inflazione pedagogica. E’ ormai da tempo che il problema reale di una nuova e più ricca formazione (non solo nelle nostre Facoltà) viene inquinato dagli specialisti del ’come si insegna’. Io ritengo che, potenzialmente, siano i docenti di Lettere a essere i più competenti sul ‘che cosa’ ma anche sul ‘come’.
- la rincorsa affannosa del presente. Alcuni credono che per contrastare la perdita di prestigio degli studi umanistici, e comunque per restare a galla, occorre agganciarli all’attualità. Una forte attenzione alla società in cui viviamo è senz’altro un obiettivo condivisibile, ma bisogna intendersi. Vogliamo soltanto rendere più accattivanti le nostre discipline? Oppure il nostro intento è offrire strumenti di analisi, e una vera formazione? La comprensione del presente è facile solo in apparenza.
Tornerò su questo punto. Ma dovrebbe essere chiaro che la qualità dei nostri laureati non migliora, se ci limitiamo a sostituire i vecchi temi con nuovi temi, mantenendo un approccio fondamentalmente contenutistico e sociologico. L’Università deve offrire delle competenze, valide per il passato e per il presente, e non limitarsi a variare e ad aggiornare i contenuti.
3. Ieri e oggi.
Bisogna ampliare la prospettiva, e riferirsi agli ultimi due secoli della nostra storia. E’ ovvio che dovrò procedere in maniera molto schematica.
Per quanto riguarda gli studi umanistici, l’Università dell’Ottocento conosce e offre prevalentemente la descrizione storica e filologica. In questo ambito, negli ultimi due secoli sono stati raggiunti risultati di assoluta eccellenza, e senza dubbioquesta area disciplinare continua a essere insostituibile. Tuttavia il Novecento ha proposto una nuova visione della letteratura. Se l’Ottocento è stato il secolo della Storia, il Novecento è stato il secolo del linguaggio (almeno fino agli anni ’70). Le grandi novità sono percepibili in due aree: quella teorico–metodologica, e quella delle estetiche.
Mi pare piuttosto evidente che gli studi letterari in campo universitario abbiano registrato queste novità tardivamente e in maniera inadeguata. L’atteggiamento conservatore non ha avuto soltanto effetti negativi, bisogna riconoscerlo. Ha evitato che le componenti più effimere e unilaterali di ciò che si presentava come ‘nuovo’ venissero accolte dogmaticamente: ad esempio, che si conferisse un’importanza sproporzionata al fatto che in una celebre poesia di Leopardi ‘Silvia’ venisse considerata come l’anagramma di ‘salivi’. Gli eccessi – io direi : il lato effimero e infantile – del formalismo, e le promesse non mantenute della semiotica sono diventate però un alibi per ignorare le novità, quelle vere, che sono di straordinaria importanza.
Oggi è possibile una nuova visione della letteratura: e a renderla possibile sono stati soprattutto alcuni grandi autori novecenteschi che appartengono alla linguistica, alle scienze umane e alla filosofia. Non riconoscere queste novità conduce a un atteggiamento autolesionistico.
E’ un punto su cui vorrei insistere: anche chi è più affezionato all’approccio storico e filologico - e ha tutto il diritto di esserlo (dando per scontato che si parla degli studiosi seri e rigorosi) -dovrebbe cominciare a riflettere sul futuro degli studi umanistici. E dovrebbe cominciare a temere che senza un’alleanza tra l’area storico-filologica e l’area teorica e più filosofica, assisteremo al diffondersi di studi ‘facili’, come sono quelli culturali e tematici. A una devastazione che sarà sempre più difficile contrastare. Un sintomo di questa devastazione, in altri paesi, è percepibile nel fastidio con cui Toni Morrison ha dichiarato (sul Corriere della sera, circa un anno fa) : “Vorrei essere considerata una scrittrice, e non una sociologa”. Non si potrebbero indicare meglio i danni prodotti da coloro che credono di parlare di letteratura, e la usano come pretesto per la chiacchiera ‘culturale’ (e talvolta rozzamente ideologica).
4. La letteratura come esperienza (e non come rappresentazione). Il ruolo dell’Università.
Le nostre Facoltà sono in ritardo perché non hanno saputo assimilare adeguatamente, e proporre nel proprio insegnamento, le novità del XX secolo. Ma c’è un altro aspetto da considerare: la crescente estraneità delle nuove generazioni, la loro difficoltà a stabilire un rapporto con la letteratura.
Per tutti noi la letteratura è qualcosa di insostituibile, dal punto di vista esistenziale e non solo intellettuale. E lo è in quanto esperienza – un’esperienza complessa in cui s’intrecciano il linguaggio, i processi mentali, e le emozioni. Grazie a questa mescolanza, noi allarghiamo i confini della nostra vita. Come ha detto Wilde, l’arte è una forma di iniziazione (l’unica che ci è rimasta nelle società moderne? ). L’arte ci inizia a sentimenti dei quali avremmo potuto restare sempre all’oscuro, e ci crea un passato che non sapevamo di avere.
In una fase storica in cui il problema dell’identità sembra essere diventato IL problema, l’arte ha la possibilità di svolgere un ruolo formativo di straordinaria importanza. Ma non potrà svolgerlo, se non saranno create le condizioni di un incontro autentico e fecondo tra le nuove generazioni e l’arte, in particolare la letteratura.
Nell’attuale contesto mediatico, l’accesso alla letteratura è diventato particolarmente difficile: ne siamo tutti consapevoli, credo. Altri linguaggi, specialmente quelli visivi, risultano più accattivanti, più ‘amichevoli’: non sto riproponendo la tesi (che talvolta è stata avanzata) secondo cui la letteratura è il più complesso dei linguaggi artistici (ad esempio Borges diceva che la letteratura è superiore alla musica perché la include). Non sto riproponendo una querelle sulle arti ! vorrei formulare alcune riflessioni a partire da un dato di fatto incontestabile: almeno in prima istanza, i linguaggi visivi si presentano come immediatamente accessibili, e comunque più facili. Oggi il medium costituito dalla parola appare a molti soprattutto come un ostacolo.
Ed è proprio questo il dato più preoccupante: ciò senza cui la letteratura non sarebbe se stessa, cioè il linguaggio, è diventato l’ostacolo principale.
Quale via dovremmo seguire? Scavalcare l’ostacolo, trattare il linguaggio come un veicolo di contenuti ? Considerare la letteratura semplicemente come una forma di rappresentazione? I testi letterari sarebbero dei contenitori che veicolano rappresentazioni del mondo, dei rapporti sociali, del corpo, della sessualità, delle credenze e delle ideologie, ecc? Questa è la via dei ‘contenutisti’ vecchi e nuovi. Una via che impoverisce la letteratura, ne soffoca le potenzialità, e contribuisce, di fatto, a emarginarla.
L’altra via passa attraverso la trasmissione di competenze. Possiamo cercare di arricchire le competenze di chi non si sente estraneo alla letteratura, vorrebbe comprenderla meglio, e diventare un buon insegnante. Dobbiamo dargli degli strumenti.
Ad esempio, dobbiamo dargli la possibilità di comprendere quel meccanismo sofisticato che è la metafora, e non solo come figura ‘locale’, ma come strategia testuale. Dobbiamo metterlo in grado di apprezzare le raffinatezza del ritmo e del verso. Dobbiamo offrigli la possibilità di accedere all’identità dei grandi personaggi della letteratura – ma come potrà farlo, se continuerà a disporre unicamente di nozioni ingenue di ‘identità’ e di ‘desiderio’, e non avrà accesso al dibattito e alle teorie elaborate nel XX secolo dalla filosofia e dalle scienze umane? Come potrà fare un ‘uso cognitivo’ delle sue emozioni, se non gli indicheremo la strada che porta all’intelligenza delle emozioni? E ancora: una volta divenuto un insegnante, come potrà trasmettere ai suoi studenti la possibilità della letteratura come esperienza?
5. Un progetto di riorganizzazione degli studi letterari.
Proverò adesso a tradurre queste considerazioni in una progettualità concreta.
Ho auspicato una Facoltà di Lettere imperniata sulle competenze. E’ ovvio che in parte essa le offre già: competenze storiche, competenze linguistiche (la filologia, la storia della lingua, le lingue straniere, ecc.), informatica per umanisti, ecc. Ma questa offerta formativa è incompleta: non risponde adeguatamente ai problemi e alle difficoltà che ho appena indicato.
Proviamo a immaginare una Università rinnovata, dove lo studio della letteratura si presenta come uno spazio dai molti ingressi, e dalle molte connessioni interne. Ecco una mappa delle quattro aree fondamentali:
- area linguistica e filologica (oltre alle discipline prima indicate, comprende linguistica generale e rapporti con altri linguaggi);
- area storica: la storia della letteratura italiana e delle altre letterature. Qui collocherei anche la letteratura comparata e tutti gli studi che potremmo definire ‘contestuali’;
- area teorico-metodologica: comprende discipline come Metrica, Retorica, Teoria della Letteratura, Teoria e tecniche della narrazione, Teorie del desiderio (oggi disponibile come ‘Psicologia dell’arte e della letteratura’), ecc;
- area filosofica: principalmente, l’estetica, le teorie dell’interpretazione e la filosofia del linguaggio. Bisognerebbe rendersi conto che oggi la filosofia è diventata un’alleata insostituibile degli studi letterari, se l’obiettivo è studiare la letteratura nella sua complessità e nella sua ricchezza. A partire da Nietzsche e da Freud (ma si potrebbero menzionare altri autori del Novecento) la letteratura ha trovato un legame con la conoscenza e la verità, che una tradizione secolare le aveva negato. Questo legame è stato negato dalla concezione del linguaggio intransitivo, negli anni Sessanta, e dall’enfatizzazione della letteratura come fiction, nel Postmoderno. Ma dovremmo saperlo ritrovare, ed è in questo che la filosofia ci offre un aiuto essenziale.
Mi sono soffermato di più, com’è ovvio, sulle novità: cioè su un’area attualmente poco rappresentata, quella teorico-metodologica, che tra l’altro può svolgere un ruolo strategiconella connessione tra i diversi campi disciplinari; e sull’area filosofica, di cui mi sembra che non si comprendano le potenzialità (eppure la nostra Facoltà si chiamano ‘Lettere e Filosofia’). Le quattro aree, con le possibili interazioni, offrono la possibilità di acquisire e sviluppare abilità e competenze.
In relazione ad esse potranno venire determinati differenti curricula, per rispettare la varietà degli interessi. C’è tuttavia un punto fondamentale, su cui si dovrebbe riflettere: la letteratura è un insieme di testi. Perciò, chi si laurea in Lettere senza aver acquisito le capacità relative all’analisi dei testi è qualcuno che presenta un inaccettabile deficit dal punto di vista delle capacità cognitive e interpretative: cioè delle sue capacità intellettuali.
Queste capacità possono venire sviluppate soltanto negli anni della formazione universitaria: siamo abbastanza lucidi da riconoscerlo? Una volta laureato, un giovane sarà in grado di leggere e di assimilare per conto proprio un saggio prevalentemente storico, o tematico o culturale . Ma è molto difficile che possa acquisire quelle competenze intellettuali più complesse, e legate alle capacità di astrazione, che solo l’Università avrebbe potuto offrirgli: per questo occorre un progetto di formazione, articolato nel tempo.
Una precisazione – non dovrebbe essere necessaria, ma forse lo è: la nozione di ‘analisi testuale’ implica l’interpretazione. E l’interpretazione non è la doxa, non è il moltiplicarsi dei contesti storici di ricezione (le comunità di lettori, ecc.): è un esercizio intellettuale complesso, orientato alla conoscenza, e che richiede un apprendistato.
6. Una nuova figura di ‘umanista’.
Evitiamo alcuni possibili equivoci. Chi sta leggendo questa proposta può avere l’impressione che io stia svalutando il versante storico della formazione letteraria, e che stia privilegiando eccessivamente il versante teorico. Non è così. So bene che i migliori studi di carattere storico e tematico sono sorretti da riflessioni metodologiche, e che la lettura dei testi letterari implica una finezza analitica che solo in parte può essere tradotta in regole. Non sto negando – sarebbe assurdo – il ruolo dell’intuizione.
Sto indicando un duplice ritardo, e un duplice degrado, nelle nostre Facoltà. Da un lato, ci sono insegnamenti ancora troppo tradizionali (e la tendenza a chiudersi in una stanca erudizione). Dall’altro, tentativi di aggiornamento che presentano la stesso grado di povertà intellettuale degli studi più mummificati.
Si continua a credere che l’umanista sia una persona dotata prevalentemente di competenze storiche e verbali, e che il suo ruolo educativo (come insegnante, ma anche come intellettuale generico) si caratterizzi per un rapporto privilegiato con l’etica, e non con la conoscenza. Un buon insegnante sarebbe qualcuno che trasmette la capacità di esprimersi, e i giusti valori. Se guardiamo non soltanto all’Università italiana, ma alla situazione internazionale, questa descrizione risulterà pienamente confermata. Per l’orientamento che oggi domina in campo internazionale, i valori da trasmettere non sono più quelli della patria e della tradizione ma quelli degli oppressi (le donne, i popoli che hanno sofferto il dominio coloniale, ecc): ma il difetto fondamentale resta invariato.
Lo spiegherò nel modo più conciso possibile. Ciò che sicuramente si può rimproverare ai cultural studies, nel loro insieme e senza voler negare che esistano delle eccezioni, è aver diffuso l’impressione che per occuparsi di letteratura non occorra alcuna competenza specifica; che sia legittimo avvicinarsi alla letteratura in maniera quasi esclusivamente tematica e contenutistica, puntando sulla quantità e sulla varietà dei riferimenti; che sia sufficiente qualche lettura di seconda mano, e qualche citazione, per simulare la conoscenza di teorie che ci si vergognerebbe di ignorare. In sintesi, aver confermato e diffuso la sensazione che per capire la letteratura non sia necessario, se non in misura modesta e decisamente inferiore alle altre discipline, servirsi dell’intelligenza. Gli studi più tradizionali e gli studi culturali convergono su un punto: fanno credere che gli umanisti, i letterati, siano figli di un’intelligenza minore.
Perciò lo studio della letteratura esige un forte ripensamento: si deve progettare una nuova figura di umanista, che alle capacità verbali (nelle diverse lingue) e alla correttezza etica – abbiamo delle responsabilità educative - sappia unire il rapporto con le capacità interpretative e di analisi. Un umanista che non riserva le capacità di astrazione ai filosofi e ai matematici, ma le rivendica anche per se stesso.
7. Che cosa si potrebbe fare subito.
Abbastanza, più di quanto si può immaginare, dopo una diagnosi forse sconfortante nel suo realismo.
La condizione è che nasca un dibattito, e che si creino delle convergenze tra studiosi appartenenti alle quattro aree che sono state indicate. Bisogna confidare nella lungimiranza di chi appartiene alle aree attualmente più rappresentate, e che potrebbe percepire questa proposta soltanto come un ridimensionamento.
Vorrei invitare gli storici della letteratura, ma anche chi si è collocato sotto l’etichetta degli studi culturali solo esteriormente, cioè senza aver mai rinunciato all’analisi dei testi, e all’attenzione per le competenze tecniche, a non ragionare in termini di ‘somma zero’.
Il progetto qui presentato è un progetto che mira alla distribuzione equilibrata e alla buona ibridazione delle diverse competenze.
L’obiettivo è vantaggioso per tutti: il riconoscimento dell’importanza formativa degli studi umanistici. Ma questo riconoscimento implica un rinnovamento delle nostre istituzioni, una forte capacità progettuale, e il primato delle competenze sui ‘contenuti’.
Basterebbero due iniziative, concretamente realizzabili, per cominciare:
a) si dovrebbero collocare alcune delle discipline più tecniche (dalla Metrica alle Teorie della narrazione, ecc) nel primo anno di corso. In tal modo gli studenti avrebbero la possibilità di acquisire delle competenze di base, da verificare e sperimentare lungo tutto l’arco degli studi. Rinviare l’acquisizione delle competenze di base al terzo anno, o alla laurea specialistica, è una palese assurdità. Dunque, il primo anno sarebbe più orientato alle lingue e alle metodologie, mentre le storie, e gli studi tematici e sociologici, avrebbero più spazio negli anni successivi.
Credo che uno storico abbia più possibilità di essere apprezzato nel rigore del proprio insegnamento, se ad ascoltarlo sono studenti che sono stati stimolati sin dall’inizio nelle loro capacità concettuali e di analisi. Chi conduce analisi tematiche con la dovuta attenzione alla dimensione linguistica, e all’organizzazione dei testi, non verrà confuso con chi fa della ‘socio-tematica’. Il discorso sui rapporti tra letteratura e linguaggi visivi è di grande intereresse, a condizione che avvenga sulla base di una duplice competenza (e non di una doppia incompetenza, come sta già accadendo in parecchi casi) , e non si limiti a confronti generici.
b) si potrebbero suggerire più frequenti interazioni con le filosofie, soprattutto con Estetica e Filosofia del linguaggio.
Sto parlando di interazioni da offrire agli studenti, al di là dei rapporti personali tra i docenti. Si tratta di offrire delle opportunità, che ogni studente potrà valorizzare individualmente (nelle differenze tra i curricula). Ad esempio, perché non chiedere ai colleghi filosofi di tenere alcuni corsi destinati ai ‘letterati’ ? Si tratterebbe di lezioni meno tecniche di quelle destinate a chi si specializza in Filosofia, ma abbastanza tecniche per offrire a tutti conoscenze che arricchiscono la mente – che favoriscono il formarsi di una ‘mens’ analitica (in senso ampio), e non di una mente compilativa.
Perciò, credo di poterlo ribadire, una Facoltà delle competenze risulterebbe vantaggiosa per tutti.
8. Contro l’attualità come alibi. Per una Università all’altezza del presente.
L’Università deve ampliare la mente, e non semplicemente arredarla, Deve mostrare gli orizzonti della storia, e non restringerli all’attualità. E nello stesso tempo è chiamata dal proprio tempo, non ha il diritto di ignorare la “scottante contemporaneità” (Bachtin).
Il riferimento al presente e alle sue tematiche più accattivanti (ad esempio il corpo, la sessualità, i rapporti di potere, ecc.) viene frequentemente utilizzato per mascherare la povertà intellettuale del proprio discorso. E’ sempre più diffusa una produzione saggistica letteraria di carattere cumulativo (il cui modello, come ormai siamo abituati a dire, è l’elenco del telefono). Tuttavia, l’interesse per il mondo contemporaneo non è destinato inevitabilmente a un livello ‘giornalistico’.
Vorrei evitare di fermarmi alle etichette. Dunque, pur non essendo un foucaultiano, non posso non essere colpito dal fatto che Foucault ha parlato qualche volta delle sue ricerche come di un “giornalismo radicale”. Bisogna comprendere correttamente quest’aggettivo: il discorso universitario può essere una forma di giornalismo ‘radicale’, se va alla radice di ciò che analizza: se la contemporaneità viene affrontata mediante strumenti, concetti, modelli, teorie - cioè mediante le competenze che l’Università è chiamata a offrire.
9.
Queste riflessioni dovrebbero essere approfondite, naturalmente: ma spero che possano costituire un punto di partenza per un dibattito. Ai colleghi che si sentono giudicati negativamente soltanto in base a un’etichetta (ad esempio, studi culturali e sociologici), vorrei dire che conosco la differenza tra le etichette e le persone.
Ho cercato di proporre un progetto pluralista, fondato su quattro aree di competenza. Ciò che conta è che le competenze ci siano realmente, e che possano integrarsi. Ma attualmente esiste un forte squilibrio tra le diverse aree: in particolare, quella teorico-metodologica è presente in modo inadeguato, eppure è quella che potrebbe svolgere un ruolo di cerniera tra le altre. Dunque occorre cominciare a correggere questo squilibrio.
Ho indicato quella che a me sembra la via regia nella formazione di chi studia la letteratura: l’analisi e l’interpretazione dei testi. La letteratura è fatta di testi – e non di contesti, o di temi. Se lo dimentichiamo, dimenticheremo anche di offrire alle nuove generazioni gli strumenti per la loro crescita intellettuale. La letteratura resterà inaccessibile, o poveramente accessibile, anche come esperienza emotiva ed estetica.
*Eventuali trasformazioni istituzionali di cui attualmente si discute, come la riorganizzazione delle Facoltà in Dipartimenti, non toccano la sostanza del mio discorso.
Torino, 26-6-2010 | Giovanni Bottiroli