La ragione flessibile.
Modi d'essere e stili di pensiero
Prefazione
Una filosofia della metis
Da molto tempo riconosco nella metis la mia unica dea. Ho deciso di indicare con questo nome non semplicemente la ragione astuta (la ruse des Grecs, come è stata chiamata da chi ha avuto il merito di riscoprirla), ma la ragione flessibile.1 La diversità della traduzione avrebbe scarsa importanza, peraltro, se non fosse motivata e accompagnata da un programma di ricerca, il cui intento principale può essere così enunciato: elevare la flessibilità al rango di categoria filosofica. Non solo: assegnarle la posizione più alta.
Questo è dunque un libro sulle categorie, e in particolare sulle categorie modali, di cui fornisce un nuovo elenco: la dottrina classica, che distingue soltanto il possibile, l’effettuale e il necessario, viene rielaborata a partire dalle distinzioni tra il rigido e il flessibile, tra il denso e l’articolato, tra l’indiviso e il diviso, tra i registri dell’esperienza, e tra gli stili di pensiero. In ciascuna di queste distinzioni, il punto di vista modale domina su quello cosale (o fattuale); e il primato del modo viene esteso a tutti i concetti maggiori, come l’identità e la verità.
E anzitutto al pensiero e al linguaggio. Una filosofia della metis – che potrebbe essere designata anche come pensiero strategico, in quanto le arti strategiche sono espressioni per eccellenza della flessibilità – ha un solo obiettivo: spezzare il dominio della rigidità sullo spirito umano. Si noterà che ho ripreso, modificandola, l’idea confusa e fallace di Frege, il quale auspicava come compito della filosofia spezzare il dominio della parola sullo spirito umano, senza rendersi conto di quanto catastrofica sia la possibilità opposta, cioè il dominio di un pensiero irrigidito dall’univocità nei confronti della duttilità del linguaggio, e dunque di alcune forme superiori di intelligenza. Se quest’idea è fallace, lo è in quanto deriva da una concezione indivisa del linguaggio e dei processi di pensiero. Ma il linguaggio si dice in molti modi, conflittualmente.
Questi modi sono gli stili. Bisogna abbandonare evidentemente la concezione espressiva, e le oscillazioni tra individuale e collettivo, in cui gli stili sono stati sempre imprigionati: essi sono ciò che scinde il linguaggio-pensiero, sono modi di pensare. Gli stili sono il linguaggio diviso.
Ai modi della divisione è dedicato il secondo capitolo: la rivoluzione modale, che inventa nuovi intrecci e porta il conflitto nelle modalità, resterebbe incompiuta se non si affermasse nella dimensione della logica (è per questo motivo, probabilmente, che Heidegger non è riuscito a sviluppare adeguatamente le novità maggiori della sua filosofia). Durante il XX secolo sono state proposte nuove logiche, che erano sempre e soltanto variazioni, ed estensioni, del pensiero rigido. L’alleanza tra logica e rigidità ha continuato ad apparire ovvia a chi non la percepiva, e trovava nei difetti delle logiche non rigide (da Hegel in poi) un motivo per conservare il proprio dogma. Senza dubbio, una delle grandi ambizioni di questo libro è quello di portare il problema del pluralismo logico su un terreno nuovo, inaugurando la possibilità di una logica che è congiuntiva ma non privilegia la sintesi, e al tempo stesso è scissionale: una logica della flessibilità o della non-coincidenza.
Infine, la semantica divisa che nasce dal conflitto tra gli stili permette di eliminare gli equivoci che continuano a pesare sul concetto di interpretazione. E’ vero che esistono soltanto interpretazioni? Se interpretazione equivale a stile di pensiero, la risposta non può che risultare affermativa perché il pensiero è sempre modalizzato da uno stile. Se interpretazione significa invece attribuzione di senso, come negare che esistono vaste zone dell’insensato? I semplici, stupidi fatti; ma anche la dissoluzione e l’impossibilità della forma, l’incandescenza pulsionale, il reale (nell’accezione di Lacan).
Le ultime pagine di questo libro sembrano smentire la realizzabilità del progetto che esso delinea. Tutti gli sforzi per assegnare uno statuto di non-coincidenza all’ente che noi stessi siamo sfociano nella necessità di riconoscere la pulsione dell’inarticolato, la spinta a retrocedere, dunque a coincidere. Il Todestrieb freudiano non è una forza che possa essere sconfitta, se non parzialmente. La minaccia della rigidità non smetterà di pesare sulla vita, e sulla logica. La stupida coincidenza con se stessi (come l’ha chiamata Bachtin) continuerà ad essere il destino più equamente ripartito, la forma di vita più diffusa. Non per questo si deve rinunciare al desiderio – di non essere ciò che si è.
Né si dovrebbe rinunciare al programma di ricerca qui enunciato, a eliminare le sue imperfezioni e a tentare nuovi sviluppi. Sto utilizzando per la seconda volta un’espressione che accentua il carattere inaugurale e sperimentale del mio lavoro. Spero che lo si giudichi soprattutto con i criteri in base a cui questo programma merita di venir giudicato: l’intelligenza, la potenza, l’utilità. Non potrebbe esserci niente di più utile della flessibilità, in quella dimensione stabile e instabile che è la condizione umana.
Torino, gennaio 2013
* Vorrei esprimere la mia gratitudine a Giacomo Marramao, che ha approvato il mio progetto e ne ha reso possibile la pubblicazione.
Note
1 «Zeus, re degli dèi, per prima prese in sposa Metis, che sa più di tutti gli dèi e degli uomini mortali. Ma quando costei fu sul punto di partorire la dea glaucopide Atena, allora ingannando il suo cuore con parole astute, la inghiottì nel suo ventre seguendo i consigli di Gaia e di Urano stellato. Così l’avevano consigliato entrambi affinché nessuno avesse, al posto di Zeus, il potere regale tra gli dèi sempre esistenti.
Da Metis infatti era fatale che nascesse una prole assai saggia: per prima doveva partorire la fanciulla glaucopide Tritogenea, dotata di forza eguale a quella del padre e di saggio volere, poi un figlio, re degli dèi e degli uomini, dal cuore violento. Ma prima Zeus la inghiottì nel suo ventre, affinché la dea potesse consigliarlo sul bene sul male.
Per seconda poi sposò la splendida Themis» (Esiodo, Teogonia, vv. 886-901).
Qui Zeus è descritto come un soggetto relazionale, abbastanza flessibile per modificarsi in rapporto a un’alterità.