Un'interpretazione di Mulholland Drive

I registi sono alleati preziosi

in “Segnocinema” 114, 2007

La psicoanalisi alla prova del cinema1

1. Breve introduzione: dall'inconscio linguistico al perturbante.

Il titolo di quest'articolo riprende una frase di Freud ("I poeti sono alleati preziosi") con una modifica: i registi subentrano - o meglio si aggiungono - ai poeti, e agli artisti in genere, come alleati della psicoanalisi. Quest'alleanza è stata così precisata da Freud: "Probabilmente, attingiamo alle stesse fonti, lavoriamo sopra lo stesso oggetto, ciascuno di noi con un metodo diverso; e la coincidenza dei risultati sembra costituire una garanzia che abbiamo entrambi lavorato in modo corretto". Come dobbiamo intendere la "coincidenza dei risultati"? Freud è perentorio: "una conclusione sembra che s'imponga: o entrambi, il medico e il poeta, abbiamo in egual modo frainteso l'inconscio, o entrambi lo abbiamo compreso esattamente"2.Proverò a verificare questa convinzione di Freud in rapporto a un film di David Lynch, Mulholland Drive.

Chiunque voglia riflettere oggi sui rapporti tra psicoanalisi e cinema deve cominciare col chiarire la nozione di 'inconscio', evitando almeno i peggiori fraintendimenti. C'è stato un periodo (freudiano) in cui l'inconscio era il caos pulsionale, un "calderone ribollente"; ma poiché era anche il luogo delle rappresentazioni mentali rimosse, cioè dei significanti, dalla concezione energetista si è passati a una concezione linguistica: secondo la formulazione di Lacan, l'inconscio sarebbe strutturato come un linguaggio. Così, per un certo periodo, è stata la retorica dell'inconscio (i processi metaforici e metonimici) a ricevere la massima attenzione. Poi un'ulteriore svolta: si è notato che la teoria lacaniana, imperniata sui tre registri (Immaginario, Simbolico, Reale), aveva sperimentato un'evoluzione: dopo una fase di ricerca orientata prevalentemente sull'Immaginario - quella che le teorie del cinema hanno adottato con una parzialità, una frettolosità e un'ingenuità ormai evidenti: qui troviamo lo stadio dello specchio -, c'è stata una seconda fase orientata soprattutto sul Simbolico: l'intera psiche veniva pensata nella sua linguisticità, nell'eterogeneità dei suoi linguaggi. La terza fase, la più recente, iniziata con il Seminario VII, sarebbe quella del Reale: il Reale è la dimensione e l'esperienza della Cosa (das Ding), di ciò che sfugge alla rappresentazione e all'elaborazione linguistica. Ci si può riferire al titolo, e al contenuto, del film di Carpenter del 19(?), come a una possibile esemplificazione.

Una delle tante: insistendo sul Reale si accentua il nostro rapporto con la dimensione in cui avviene una perdita di senso e anzitutto di forma. Il mondo rassicurante dei confini in cui la nostra identità è stabile, come la più lunga e la più solida delle abitudini, improvvisamente si lacera parzialmente e si disfa: gli strappi possono essere più o meno violenti, la collisione con mondi invertebrati e con forme in sfacelo, glutinose e aggressive, avviene in modi differenti e con differenti gradi di traumaticità. In ogni caso, l'alterità ci devasta: e questa alterità non viene soltanto da fuori; essa abita il nostro interno come una estimità, un'intimità esteriore3.

La psicoanalisi, ha osservato una volta Freud, infligge all'uomo una terza ferita narcisistica, dopo quelle di Copernico e di Darwin: ci dice che l'uomo non è padrone a casa propria4. L'episodio di Lost Highway, in cui Mistery Man invita Fred Madison a telefonargli - "Mi trovo a casa tua in questo momento ... Chiamami", e in cui, pur essendogli fisicamente di fronte, risponde alla sua chiamata, è una perfetta illustrazione dell'intimità esteriore: 'io, che tu percepisci come un altro, ti appartengo più del tuo stesso Io; sono e non sono te stesso; puoi pensarmi come il vuoto che la tua identità avvolge, analogamente a un vaso o ad un'anfora; ma in realtà sono io ad avvolgerti, sono io che, dall'interno, ti dò una forma che è la tua'. Da questa 'idea taoista 5 dobbiamo trarre due conseguenze: anzitutto, il Reale è del soggetto, abita il soggetto come un'eccedenza o un buco, in secondo luogo, il Reale è intrecciato agli altri due registri, e per descriverne la potenza e gli effetti abbiamo bisogno di una logica degli intrecci e dei legami, una logica congiuntiva e non disgiuntiva.

Una logica paradossale, e l'accento cade sul termine logica. Oggi gli psicoanalisti lacaniani, e alcuni studiosi di cinema, tendono a enfatizzare le tematiche del perturbante e del Reale, collegando i due concetti: che cos'è il perturbante descritto da Freud se non l'emersione del Reale lacaniano? Gli studiosi più raffinati non si limitano a una ricezione tematica, e dirigono la loro attenzione alla manifestazioni linguistiche del Reale: d'altronde, del Reale - che è l'irrappresentabile - si può parlare solo nella misura in cui esso si fa strada nel linguaggio. Io vorrei privilegiare comunque un'altra impostazione.

2. Problemi di punteggiatura.

Sia chiaro che non considero affatto illegittima un'estetica del Reale: è una delle possibili direzioni per raccogliere ed espandere la straordinaria ricchezza dell'eredità lacaniana.6 Tuttavia, a una descrizione che enfatizza il non-rappresentabile, l'informe, insomma i buchi nel linguaggio, preferisco un'analisi che s'ispira all'idea di soggetto diviso: non è forse questa - più che la scoperta dell'inconscio - la verità della psicoanalisi? Non soltanto ciò che sfugge al linguaggio, attraverso i suoi strappi e le sue ferite, ma le scissioni che ne determinano l'identità, così come determinano l'identità delle persone, e quella dei personaggi in una storia finzionale.

In questa prospettiva, Mulholland Drive costituisce un esempio quasi obbligato e comunque inaggirabile. Forse nessun altro film, almeno negli ultimi anni, tratta i meccanismi dell'identità in maniera così complessa e sofisticata. Evidentemente non posso presentare qui un'analisi sufficientemente ampia: ritengo però che la mia interpretazione, nella sua parzialità, sia corretta; e poiché non posso discutere le altre interpretazioni una per una, metterò l'accento su alcuni difetti teorici e metodologici.

Mulholland Drive viene generalmente considerato un film disorientante e pieno di mistero: la sua enigmaticità non sarebbe quella degli enigmi che ad un certo punto trovano soluzione, e andrebbe individuata piuttosto nella generazione incessante di possibilità. Film indecidibile e inesauribile, aperto a infinite interpretazioni. A me sembra che il film di Lynch offra un'eccellente occasione per comprendere la differenza tra la teoria psicoanalitica dell'interpretazione e l'ermeneutica (penso soprattutto a Gadamer e a Ricoeur); e per capire che la psicoanalisi non può accettare l'irenismo e la 'chiacchiera dell'infinito'.

Ciò non significa, beninteso, credere che un'opera letteraria o un film siano suscettibili di una sola interpretazione. Significa però muoversi in uno spazio di finitezza, in cui si distinguono verità ed errori, e in ogni caso non si enfatizza unilateralmente il molteplice e il possibile. Contro certi abusi si dovrà dire, parafrasando Occam ("entia non sunt multiplicanda sine necessitate") che "non bisogna moltiplicare gli indecidibili senza necessità"; e contro l'enfatizzazione della molteplicità ermeneutica, bisognerà ricordare che per Nietzsche l'infinito era una nozione facilmente penetrabile dalla bêtise.

Se la mia interpretazione contiene degli errori, si potrà criticarla; ma si potrà criticarla perché è sbagliata, e non semplicemente perché potrebbero esserci altre interpretazioni. Un'interpretazione soltanto possibile non è una buona interpretazione: essa non offre conoscenza, così come non offre un contributo di conoscenza la risposta "Domani potrebbe piovere (oppure no)" a chi chiede una previsione metereologica sulla giornata di domani.

Rivedendo Mulholland Drive, lo spettatore è costretto a prendere subito una decisione interpretativa, che avrà un peso determinante: deve compiere una scelta di punteggiatura, e decidere se può affidarsi a quella che nel film è la scansione più esplicita. Certamente non è del tutto sbagliato asserire che il film comprende due parti, e che la loro cesura è rappresentata dall'apparizione del cowboy che dice "Ehi bella ragazza ... È ora di svegliarsi"; non è sbagliato da un punto di vista pre-freudiano. Ma dopo Freud persino la segmentazione più elementare dei testi non è più la stessa.

Un'analisi psicoanalitica non è tenuta a rispettare la punteggiatura esplicita - anzi, è portata a diffidarne. Dividendo il film di Lynch in due segmenti, quello del sogno di Diane e quello successivo al suo risveglio, ci si limita a una parafrasi e, inavvertitamente, si finisce col subordinare l'interpretazione alla parafrasi. È il primo errore da evitare. Seguendo la scansione esplicita, si può essere tentati di moltiplicare le ipotesi: il mondo di Mulholland Drive potrebbe essere anche "il prodotto e l'integrazione di due sogni, di due deliri di diversa intensità psicotica, di due mondi paralleli, di due mondi potenziali".7 Ma queste possibilità si affievoliscono non appena si procede a una diversa articolazione.

Ogni narrazione - e ciò vale anche per quei particolari racconti che sono i sogni - presenta una o più acmé: un vertice, una punta, che innalza il testo o lo inabissa (come si preferisce), e che rappresenta in ogni caso una zona decisiva, di straordinaria densità. Ad esempio nel sogno di Irma, riletto da Lacan, ci sono due diverse acmé: la prima è la gola di Irma, le conche nasali, la carne sofferente, che provoca un'identificazione di angoscia ("tu sei questa cosa - che è la più lontana da te, la più informe"), la seconda è la formula chimica, che allude alla logica del significante e alla via dell'interpretazione.8 In quale punto o zona dobbiamo individuare l'acme narrativo del film di David Lynch? Quasi certamente nello scambio di sguardi tra Betty e Adam, seguito dalla fuga di Betty: lo sguardo che vola tra i due - esempio mirabile di oggetto a in senso lacaniano - resta enigmatico, ma è da qui che può iniziare l'analisi. Più importante della cesura tra sogno e parte diurna è dunque la scissione del sogno, che ci mostra due storie (le disavventure di un regista; l'incontro tra due ragazze), due storie che non devono saldarsi: altrimenti Camilla morirà.

Questo è il vero 'oggetto' del racconto. Non ci possono essere dubbi: Mulholland Drive è l'elaborazione onirica di un insieme di materiali che riaffiorano dopo il risveglio; di questi materiali, che Freud ha chiamato "resti diurni", fa parte un oggetto, la chiave blu, che è sicuramente l'oggetto scatenante, diciamo così. Non il motore del sogno, che è sempre un desiderio (uno o più desideri).

3. Il sogno non pensa, non calcola, si limita a trasformare.

Che cosa sappiamo dei processi onirici, leggendo L'interpretazione dei sogni? Sappiamo che (a) un sogno è la realizzazione in forma allucinatoria di un desiderio; (b) che per lo più questa realizzazione avverrà in forma mascherata, ad opera della censura onirica (processi di spostamento e di condensazione); (c) che il sogno trasforma un insieme di materiali, i contenuti latenti (in larga misura i ricordi della giornata che è appena trascorsa: i resti diurni) in un racconto che è il sogno manifesto; (d) che per comprendere il sogno non basta recuperare i pensieri latenti (è una tentazione da evitare); per interpretare un sogno bisogna comprendere il lavoro onirico, cioè i processi di trasformazione; (e) che questo lavoro è messo in moto da un desiderio; tuttavia Freud non propone una concezione propriamente teleologica del sogno.

In effetti, il funzionamento onirico viene ulteriormente complicato per questi motivi: anzitutto perché possono entrare in gioco diversi desideri, anche in conflitto tra loro; e perché il lavoro onirico si allontana in misura notevole dalle dinamiche del pensiero cosciente. Freud lo dice con molta chiarezza: "Non che il pensiero onirico sia più sciatto, più scorretto, più smemorato, più incompleto del pensiero vigile: è qualcosa di interamente diverso (...) Non pensa, non calcola, non giudica affatto, ma si limita a trasformare"9. Quello che dobbiamo analizzare, ora, è il modo in cui Lynch ha utilizzato le sue intuizioni personali ed estetiche in un film che presenta straordinarie affinità con il modello freudiano - una sorprendente "coincidenza di risultati", al di là delle conoscenze, che non sono né necessarie né probabili, di tale modello. Il risultato è un film splendido, proprio sul piano narrativo (le narrazioni più riuscite non sono mai narrazioni 'lineari').

4. Un racconto aporetico.

Il problema estetico che Lynch ha dovuto risolvere potrebbe essere schematizzato così: conferire una piena coerenza a una storia dominata da emozioni conflittuali, e in primo luogo da un conflitto tra il ricordo (la chiave blu è l'indizio inequivocabile che il contratto è stato rispettato, e che Camilla è morta) e il desiderio, desiderio impossibile e che si manifesta troppo tardi (annullare quella decisione, proteggere Camilla). Questo conflitto si intreccia con quello tra amore e odio: Camilla è la causa della sofferenza di Diane; la sua sola immagine evoca umiliazioni crudeli che esigono vendetta; e tuttavia, in base a un meccanismo a cui tutti ci dobbiamo inchinare, è verso questa causa che Diane desidera fare ritorno. L'unica persona che potrebbe consolarla è proprio quella che provoca la sua sofferenza. Come ha scritto Lucrezio: "Namque omnes plerumque cadunt in vulnus" (Si cade per lo più dalla parte della ferita).10

Questo conflitto non è rappresentabile direttamente. Esso crea un gorgo, un vortice. La storia ruota intorno a questo gorgo, al cui centro sta il ricordo dell'omicidio commissionato: in un primo tempo se ne allontana - plausibilmente, in virtù dello slancio iniziale -, poi comincia ad avvicinarsi. L'attrazione del gorgo è rappresentata dal bungalow in cui Diane sta dormendo e dove c'è la chiave blu. Bisognerebbe stare lontani da questo luogo - eppure una forza imperiosa spinge le due protagoniste del sogno (ma sono davvero due?) a tornarvi. Esse fanno ciò che non dovrebbero, ciò che non vogliono !

Come si è detto, uno dei desideri del sogno (quello inizialmente più forte) è che Camilla sia ancora viva. Impossibile crederlo, a meno che? a meno che il killer sia un imbranato, un incapace. Il sogno mostra un killer maldestro, che colpisce bersagli involontari, e che potrebbe avere mancato il vero bersaglio. Tutta la scena - dalla cicciona che frana sul killer allo sparo che colpisce l'aspirapolvere - è pervasa dal grottesco: non dimentichiamolo, perché il grottesco, che è la soluzione linguistica a cui il sogno si affida per dare credibilità all'impossibile, diventerà nelle immagini finali il tramite di un incubo insopportabile. In ciò troviamo la conferma di un meccanismo descritto da Freud: i contenuti rimossi tornano attraverso le forze e le forme della rimozione11. Dunque la scelta stilistica che caratterizza le ultime immagini del film - i due anziani coniugi che penetrano nel bungalow scivolando sotto la porta - appare del tutto coerente: il desiderio aveva scelto la fenditura del grottesco come via di fuga, e adesso a riportarlo nella sua prigione sono immagini grottesche.

Dall'introduzione (obbligata) del grottesco la storia trae diversi vantaggi, ponendosi al servizio di altri desideri che sono stati riaccesi. Ad esempio, quello di diventare una grande attrice: in tal caso, la relazione con Camilla avrebbe potuto essere diversa, forse le parti si sarebbero invertite, sarebbe stata Diane ad aiutare l'amica ad avere delle particine, ecc. Rovesciando i ruoli, il sogno consente a Diane di eseguire una performance straordinaria (il provino), che lascia tutti senza fiato12. E poi c'è il desiderio di vendicarsi, sia dei registi che non hanno saputo apprezzarla, rappresentati da Bob Brooker e dal suo vaniloquio ("Bob?" - "Molto bene ... sì, umanistico"), sia del regista che Camilla sposerà, e a cui nel sogno ne capitano di tutti i colori (viene cornificato, picchiato, umiliato, e solo perché costretto dalla mafia sceglie Camilla Rodhes). Tuttavia, nel suo impulso di rovesciamento e di compensazione, il sogno non può procedere troppo oltre: gli si oppongono le forze della memoria. La realtà è troppo diversa per poter essere davvero capovolta: la performance di Betty/Diane è splendida ma gratuita, l'ingresso nel mondo del cinema resta impossibile.

Non era questo, in ogni caso, il desiderio più forte: senza dubbio esso contribuisce all'elaborazione e anzitutto alla durata del sogno. Perché a null'altro può davvero aspirare la ragazza che dorme nel bungalow, se non dormire il più a lungo possibile; il custode del sonno, il sogno, prolunga la sua azione protettiva, che coincide con lo svilupparsi della fantasia di protezione nei confronti di Camilla, così fragile e indifesa. "Buonanotte, dolce Betty".

5. Identità.

Soltanto a partire da questa trama - e grazie a un preciso linguaggio analitico - si potrà attribuire una funzione e un significato a una vasta serie di scelte linguistiche, ad esempio alle "soggettive senza soggetto", di cui è stata rilevata la presenza in Mulholland Drive.13 Si ricordi il rabbioso zoom di fronte al club Silencio, in cui uno sguardo acefalo si avventa contro le due ragazze appena scese dal taxi: è lo slancio di una belva, ed il segno che il miracoloso armistizio stipulato dal sogno tra le forze del desiderio e quelle della memoria sta ormai per finire. Il desiderio di fare l'amore ancora una volta con la persona amata, e irrimediabilmente perduta, si è ormai realizzato: l'appagamento indebolisce la nostalgia, l'odio risale minacciosamente. Rimane poco tempo, ormai, prima della separazione definitiva: perciò il Club Silencio non è solo il luogo di un episodio metafinzionale, su cui si sono sprecati i commenti, e che corrisponde a quella possibilità onirica in cui il sognatore diventa consapevole del proprio sogno - un effetto di cornice che in questo caso non mira a una distanza,14 bensì a un prolungamento -; è anche il luogo in cui emerge la scatola blu: i due segmenti narrativi che il sogno aveva spezzato sono ormai sul punto di ricongiungersi, e l'estrema consolazione di Diane è condividere con Rita/Camilla le proprie lacrime.

In verità è soltanto una la persona che piange, ed è Diane; soltanto lei sogna. Da questo fatto bisogna però ancora trarre le conseguenze logiche; soltanto così potremo ritrovare tutte le aporie del desiderio, quelle aporie che danno al film una drammaticità intricata che non ci si stanca di apprezzare. Sappiamo che "i sogni sono assolutamente egoisti" (Freud), vale a dire che il sognatore non può mai mancare dal suo sogno; tuttavia egli può rappresentare se stesso in più personaggi.15 Non dovremmo allora limitarci a vedere in Rita e Betty i duplicati (i doppi) di Camilla e di Diane. Ciò è vero solo in parte: nello stesso tempo, Rita e Betty sono la stessa persona. È questo che rende il film così complesso e affascinante: non un semplice mascheramento, ma una serie di slittamenti e di sovrapposizioni.

Ad esempio, il desiderio di dimenticare, l'amnesia, dovrebbe caratterizzare Betty come 'doppio' di Diane: invece si manifesta più radicalmente in Rita, il doppio di Camilla. E Betty/Diane non dovrebbe aiutare Rita a recuperare la sua identità, perché questo significa avvicinarsi al gorgo, all'abisso - alla verità insopportabile: ma è proprio questo che accade, il che conferma il carattere conflittuale del sogno, e ci dice che la vera duplicità è quella della sognatrice. Una forza la riporta nel luogo più perturbante, la sua stessa casa, dove il suo corpo ha già iniziato a decomporsi - il suo? quello di Camilla, evidentemente, ma l'amore non accetta questa distinzione.

Quando Rita dice "comincio a ricordare", è Diane - e non Camilla ! - che inizia a ricordare. Aporie di una mente divisa: spostando (allargando) l'amnesia su Rita, Diane cancella il suo passato con Camilla, e prepara per se stessa il ruolo di una nuova amica, tenera, ancora innamorata, protettiva: la contraddizione è che per aiutare Rita a ritrovare la propria identità, anche Diane deve ritrovare la propria.

Molti critici confondono lo sdoppiamento con il raddoppiamento: si tratta di due concetti diversi, il secondo rinvia alla logica dell'Uno e dei Molti, e soltanto il primo richiama la teoria del soggetto diviso. È appena il caso di far notare che questa confusione pesa negativamente anche sulle analisi più interessanti. Si dà troppa importanza allo slittamento dei nomi propri (Camilla che diventa Rita, Diane che diventa Betty), dimenticando che l'identità - di una persona, o di un personaggio di finzione - non si lascia né fissare né circoscrivere da un nome. L'identità ha un carattere scissionale: è determinata dal conflitto tra le forze della memoria, che tendono a conservare l'identità, e le forze del desiderio, che tendono a oltrepassarla. Questo conflitto è la sostanza di cui siamo fatti, e non soltanto la sostanza dei sogni.

Ci sono altri modi per esprimere questa tesi: si può rimarcare la non-coincidenza tra il soggetto e l'Io, che nella dimensione onirica trova occasione di manifestarsi con la massima evidenza (il soggetto può farsi rappresentare da un Io che non è il suo, o da diversi Io); oppure si può ricordare che per la psicoanalisi l'identità è identificazione, dunque oltrepassamento di confini; l'identificazione è un processo scissionale e nello stesso tempo congiuntivo.

In questa sede vorrei limitarmi a un ultimo punto. Uno degli aspetti sorprendenti nel film di Lynch è che, per quanto sia il racconto e la spiegazione di un sogno, non lo si percepisce - neanche rivedendolo - come un film 'onirico'. Non è facile spiegare questa sensazione: la seconda parte, quella che presenta i resti diurni, non è più irreale della prima. Credo che, per giustificare come non soggettiva questa sensazione, si dovrebbe tener conto di tutti i risultati a cui è giunta la nostra analisi, e che si potrebbero riassumere così: Mulholland Drive non è semplicemente il racconto di un sogno, ma della sua logica.

Note

  1. Presento qui una versione molto abbreviata (e semplificata) della mia relazione introduttiva al convegno internazionale "Cinema e psicoanalisi" che si è svolto a Roma il 27 e il 28 ottobre 2006. La versione completa sarà disponibile negli Atti del convegno, di prossima pubblicazione.
  2. S. Freud, Delirio e sogni nella 'Gradiva' di W. Jensen', 1906, trad. it. in Opere, vol. 5, Boringhieri, Torino 1972, pp. 264 e 333.
  3. J. Lacan, L'etica della psicoanalisi. Il Seminario libro VII (1959-60), trad. it. Einaudi, Torino 1994, p. 177.
  4. S. Freud, Una difficoltà nella psicoanalisi, 1917; trad. it. in Opere, vol. 8, Boringhieri, Torino 1976, p. 663.
  5. Lao-tse citato da Lacan nel Seminario VII, trad. it. pp. 155-57.
  6. In questa direzione va segnalato il bel libro di Andrea Bellavita, Schermi perturbanti. Per un'applicazione del concetto di Unheimliche all'enunciazione filmica, Vita & Pensiero, Milano 2005, in particolare il cap. VIII, dedicato a Lost Highway e a Mulholland Drive.
  7. Così Paolo Bertetto in un tentativo di lettura che non condivido ma che ho molto apprezzato e da cui ho tratto molti stimoli. Mi è sembrato particolarmente interessante confrontarmi con questa lettura anche per l'ampio orizzonte metodologico in cui viene presentata (cfr. "L'analisi interpretativa. «Mulholland Drive» e «Une femme mariée»" in Metodologie di analisi del film (a cura dello stesso Bertetto), Laterza, Roma-Bari 2006, p. 244).
  8. J. Lacan, L'io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi. Il Seminario libro II (1954-55), trad. it. Einaudi, Torino 1991, pp. 189-220.
  9. S. Freud, L'interpretazione dei sogni, 1899, trad. it. Boringhieri, vol. 3, p. 463. Per una presentazione divulgativa, mi permetto di rinviare al capitolo sulla psicoanalisi nel mio libro Che cos'è la teoria della letteratura. Fondamenti e problemi, Einaudi,Torino 2006.
  10. Lucrezio, De rerum natura, IV, 1049-51.
  11. "Proprio ciò che è stato scelto come mezzo di rimozione diventa il veicolo di ciò che ritorna; nel rimovente stesso si afferma alla fine vittorioso il rimosso" (Delirio e sogni nella Gradiva di Jensen, cit., p. 148). Così, nel racconto analizzato da Freud, l'archeologo Norbert Hanold si innamora dell'immagine di pietra della Gradiva, dietro la quale, per mezzo di un'inspiegata rassomiglianza, traspare la Zoe vivente da lui dimenticata" (ibid., p. 150).
  12. Mi pare arbitraria la valutazione di Chion, secondo cui durante questa scena "Lynch non stacca più l'inquadratura per mostrare la reazione del regista e delle altre persone, che ritroviamo soltanto al termine del provino. Lascia decidere a noi se la scena sia buffa o intensa "(M. Chion, Mulholland Drive. Play it for real, in "Positif", n. 490 (dicembe 2001, p. 80). Questo è un esempio dei 'falsi indecidibili' di cui si è indicata la superfluità, e la sterile depistanza. Ancora una volta: la densità del film va ricercata nel testo, e non in incertezze extra-testuali. Riguardo a questa scena non possiamo avere dubbi: è splendidamente recitata da Betty, alla quale - proprio per evitare incertezze nel nostro giudizio - il film attribuisce in precedenza una distanza ironica. In proposito il film non potrebbe essere più chiaro: poco importano i contenuti, e poco importa se questo sia uno stile di recitazione che si può anche disapprovare: ciò che conta, qui, è l'adesione a una tecnica e a un sistema di aspettative. Soltanto questo è pertinente. Infine: non ci possono essere dubbi neanche sul livello intellettuale del regista Bob Brooker: è palesemente un imbecille.
  13. L'espressione è usata da Riccardo Caccia in David Lynch, Il castoro cinema, 2004, p. 131.
  14. S. Freud, L'Interpretazione dei sogni, cit., p. 311.
  15. Ibid., p. 297.

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